La donna più bella del mondo non c’è più. Claudia Cardinale è morta. Aveva 87 anni. L’interprete indimenticabile, naturalmente diva, di Otto e mezzo, Il Gattopardo, C’era una volta il west, Fitzcarraldo, è deceduta nella sua casa di Nemours, vicino Parigi, dove viveva da tempo. E forse i francesi se la giocano con gli italiani, in queste ore calde di cordoglio, esaltando una delle attrici più intense, affascinanti, letteralmente intramontabili, fissata in quel primo piano con lo sguardo dal basso all’alto in una sottile increspatura di sorriso. Perché del resto in Francia la Cardinale ha vissuto momenti di celebrità pari se non addirittura un filo più entusiasti dell’italica atavica passione per le più fatali maggiorate (Loren, Lollo). Sia detto per inciso, e per non farci scippare un pezzo enorme di storia del nostro cinema del dopoguerra, Cardinale non solo era nata a Tunisi e di fondo tra i toni caldi di una voce sensualmente roca (spesso doppiata) c’era prima la lingua di Victor Hugo che quella di Dante; ma è nel 1962, quindi un anno prima rispetto alla consacrazione a Cannes (ancora Francia) con Fellini e Visconti, quando è co-protagonista di Cartouche, diretta da Philippe Del Broca, in scena nientemeno che con Jean-Paul Belmondo. Ebbene, non bastava che le prime particine a metà dei cinquanta fossero produzioni francesi. Cartouche è un successone in Francia (poi all’estero, in Russia è di culto) da far spavento.
E per questa bellezza i francesi sono pronti a far carte false. Non basta la relazione con Belmondo (a dire il vero già nata nel 1961 sul set di La Viaccia di Bolognini), l’anno successivo ci sarà la vicinanza con Alain Delon (come non ri-vederli in queste ore come Angelica e Tancredi nel viscontiano Gattopardo), poi addirittura sarebbe stata anche legata al futuro presidente Jacques Chirac (“eravamo molto amici, molti hanno scritto su di noi delle assurdità”). Invece no, Claudia Cardinale è talento e meraviglia della fucina immensa del cinema italiano anni sessanta senza se e senza ma. Una gamma infinita di interpretazioni, dalla commedia al western, dal dramma al gangster movie “Per me, il cinema è un sogno”, ricordava in una recente intervista al Guardian. “Non mi piace vedere la banalità nei film. Voglio vedere qualcosa che ti faccia pensare e sognare”. È c’è qualcosa di spudoratamente vero nelle parole di una ragazzina italiana in Tunisia (il padre ingegnere ferroviario si era trasferito lì per lavoro) che in premio per la sua bellezza vince un soggiorno nel 1958 al Festival di Venezia. Claudia è bella in un modo sfacciato, diretto, senza fronzoli. Tutti i fotografi la cercano. Tutti i produttori la vogliono. Non ha ancora interpretato un film a tutti gli effetti ma già fa sognare mezzo mondo.
Cardinale ragazzina però si tira indietro, torna a Tunisi. Vive sulla sua pelle il ruolo non voluto di madre. Nasconde per decenni un figlio (Patrick), avuto da quello che è stato definito uno stupro da parte di un uomo più grande di lei, camuffandolo da fratello minore. Sarà Franco Cristaldi, papa indiscusso dell’industria cinema dei primi anni sessanta con la Vides, a tenerla sotto la sua ala protettiva, facendola esordire in piccole parti ma in film girati da grandi autori: I soliti ignoti di Monicelli, Un maledetto imbroglio di Germi, Il bell’Antonio di Bolognini, I delfini di Maselli, La ragazza con la valigia di Zurlini e Rocco e i suoi fratelli dove incontra per la prima volta Visconti e Delon. Con Cristaldi si sposerà nel 1966 (e si separeranno nel 1975) quando lei è già innamorata del regista Pasquale Squitieri (con cui rimarrà fino al 2000) e dal quale avrà una figlia, Claudia. Dicevamo del 1963. È l’anno di Otto e mezzo e Il gattopardo. Entrambi al festival di Cannes. Il film di Visconti vince la Palma d’Oro, quello di Fellini conferma originalità e onirismo d’autore. In mezzo c’è una Cardinale che gioca in doppi ruoli speculari: in Visconti un’incantevole e determinata giovane borghese dell’ottocento in silente ascesa sociale, con Fellini un’ideale femminile salvifico in pieno Novecento per un regista in crisi creativa. “Quando ero giovane volevo andare ovunque ed essere tutti, e con questo lavoro ci sono riuscita. La cosa interessante per un’attrice non è fare quello che vuole fare, ma essere qualcun altro. Ero bionda, ero mora, ero una principessa, ero una prostituta. Ero tutto. Non sei te stessa davanti alla telecamera. Puoi vivere molte vite, invece di una sola. Penso di essere stata fortunata”.
Mai un nudo fronte camera, riportiamolo prima di dimenticarci. Perché la differenza si fa anche in questo. Cardinale già nel 1963 è in La pantera rosa di Blake Edwards a fianco di Peter Sellers e David Niven. Nel 1964 recita con Rita Hayworth e John Wayne (Il circo e la sua grande avventura di Henry Hathaway) ; nel 1966 ritrova Burt Lancaster in I Professionisti di Richard Brooks e ancora Delon in Né onore né gloria sempre in trasferta hollywoodiana. La carriera della Cardinale è talmente ricca e fitta in questi anni che è imbarazzante sintetizzarla. Proviamo con alcune suggestioni: nel 1968 scende dal treno con un memorabile cappelletto piccino e per traverso per un incredibile piano sequenza di Sergio Leone in C’era una volta il west; spalleggia Sordi in Bello, onesto, emigrato Australia nel 1971; duetta sudata ed erotica con Brigitte Bardot in Le pistolere nel 1972. Continuerà a lavorare per Visconti, Damiani, l’amato Squitieri, Liliana Cavani, ma è forse nel 1982 che tocca l’apice della carriera immolandosi nell’impresa lirico amazzonica di Werner Herzog, Fitzcarraldo. Di Klaus Kinski, suo compagno di set confesserà: “Aveva paura di me”. “È stata l’avventura più incredibile della mia vita”, ricorderà di Fitzcarraldo. “Eravamo un piccolissimo gruppo di lavoro e tutt’attorno gli animali delle foresta amazzonica. Riuscite ad immaginarlo?”.
Negli anni novanta diraderà la sua presenza sui set, anche se nel complesso in 60 anni di carriera ha girato oltre 120 film. Niente lifting di fronte a rughe e vecchiaia (“Detesto i ritocchi al viso”), per far capire cosa volesse dire lavorare con Visconti disse “era come a teatro e sul set non si poteva parlare”; mentre con Fellini si lavorava senza copione e in mezzo al caos: “Con Federico tutti urlavano come in un circo. Solo così lui poteva essere creativo. Se c’era silenzio, non poteva creare”. Poi, infine, tra amori (Warren Beatty) e amici (Steve MQueen, Paul Newman) c’è il rifiuto sentimentale a Mastroianni. Lui che la cerca e la vuole. Lei che si sottrae elegantemente. E lui che negli anni in fondo non se ne capacita. Forse la sintesi più gustosa e sincera dalla presenza glamour della Cardinale nella storia del cinema la dà un quotidiano inglese, The indipendent nel 2011: “Alcuni potrebbero dire Loren, altri Lollobrigida, altri Bellucci, ma di tutte le dee dello schermo italiano che hanno dominato il cinema del dopoguerra, è stata la Cardinale a prendere il posto di Garibaldi. Altrettanto affascinante quando era spettinata (I Professionisti), o con i capelli raccolti (Il Gattopardo), nei panni di una formosa contadina (Cartouche), o di una trapezista dalle gambe lunghe (Il Magnifico Showman), brillava, faceva il broncio, provocava e appariva sempre indefinibilmente, scintillantemente pronta. I suoi occhi impregnati di kajal brillavano. Il suo sorriso abbagliava”.