L’occasione dell’intervista col Corriere è il suo 70esimo compleanno ma anche uno dei 12 concerti che tiene all’Arena di Verona. Parla Zucchero: “Bevo, mangio, faccio pipì e piango… Una frase, un po’ ripulita, di Léo Ferré. Fisicamente e di testa mi sento come se avessi 35-40 anni anche se inizio a vedere la fettuccia della vita che si accorcia…”. Da Reggio Emilia (“un piccolo mondo alla Guareschi”) al trasferimento a Forte dei Marmi con la famiglia (“Ricordo papà triste per la sconfitta: qualcuno aveva ostacolato i suoi progetti e si era dovuto accontentare di aprire un negozietto di alimentari. E poi i primi tempi, magrolino, educato e con l’accento diverso, ero stato preso di mira dai coetanei. Dicevano che ero gay e mi facevano scherzi che mi hanno fatto soffrire. Finì tutto quando al capobanda recapitai una lettera, con firma falsificata di mio padre, in cui si minacciavano denunce ai Carabinieri”), e ovviamente la musica.
La tapper del suo percorso, sì, ma anche tanti aneddoti, per esempio su Eric Clapton: “Stava con Lory Del Santo che era mia fan e lo aveva portato a un mio concerto ad Agrigento. Venne in camerino e disse ‘il mondo deve vedere questo concerto’. E mi offrì di aprire i concerti del suo tour. Dopo quelle date i miei dischi iniziarono a essere distribuiti anche all’estero”. Gli anni della separazione (“Mi ero separato, non per scelta mia, ed ero caduto in depressione. Avevo attacchi di panico: in quei momenti hai la sensazione di morire. Piangevo, stavo come un cane, un inferno. Ne sono uscito dopo 5-6 anni leggendo un libro sul mal di vivere consigliato da un professore universitario, qualche compressa di Prozac e la ristrutturazione di un vecchio mulino in una vallata di Pontremoli dove vivo da allora”).
E non manca Gaza, perché – scrive Andrea Laffranchi – “in questi concerti sui megaschermi mostra la bandiera palestinese e la scritta ‘chi non ha un blues per Gaza ha un buco nell’anima’”: “Non puoi fare un concerto in questo momento e fare finta di nulla. Io soffro. Ho chiesto a un importante manager americano perché non si fa un concerto tipo Live Aid per Gaza. Mi ha fatto capire che tanti consigliano agli artisti che è meglio starne fuori”.