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‘Ndrangheta, 26 arresti in Calabria: torna in carcere il boss Pino Piromalli. Si definiva “il padrone di Gioia Tauro”

Blitz di Procura e Ros: il mafioso, oggi ottantenne, era tornato libero nel 2021 dopo 22 anni al 41-bis. Da allora aveva ripreso le redini della cosca
‘Ndrangheta, 26 arresti in Calabria: torna in carcere il boss Pino Piromalli. Si definiva “il padrone di Gioia Tauro”
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Il padrone di Gioia Tauro”. Così si definiva il boss Pino Piromalli detto “Facciazza”, intercettato dalla Procura antimafia di Reggio Calabria e arrestato martedì mattina dai carabinieri del Ros nel blitz dell’operazione “Res Tauro”. Sono in totale 26 gli indagati sottoposti a custodia cautelare in carcere, sulla base dell’ordinanza emessa dal gip su richiesta del procuratore Giuseppe Borrelli e dell’aggiunto Stefano Musolino: le accuse a vario titolo sono di associazione di tipo mafioso, estorsione, riciclaggio, autoriciclaggio, detenzione illegale di armi e munizioni, turbata libertà degli incanti, favoreggiamento personale, trasferimento fraudolento di valori – tutti reati aggravati dal metodo mafioso – nonché delitti in materia di armi.

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La fotografia della cosca Piromalli 2.0, di cui la Procura e i carabinieri hanno ricostruito gli assetti, è quella di una ‘ndrangheta storica che dopo i colpi subiti rialza la testa ripartendo dalle vecchie regole. Pino Piromalli era stato arrestato nel 1999 dopo sei anni di latitanza: il 10 marzo di quell’anno fu sorpreso dai carabinieri in un vecchio casolare trasformato in bunker, dotato di un sofisticato sistema elettronico. Per riuscire ad entrare nel covo, all’epoca, gli investigatori dovettero usare i martelli pneumatici. Da allora e fino al 2021, il mammasantissima Pino “Facciazza”, conosciuto anche con il soprannome di “sfregiato”, è rimasto al 41 bis, scontando 22 anni di carcere per associazione mafiosa ed estorsione: il suo business era l’accaparramento degli appalti pubblici per i lavori del porto di Gioia Tauro, tra i più importanti scali del Mediterraneo, nato per volere della ‘ndrangheta e in particolare delle cosche Piromalli e Molé.

Saldato il suo debito con la giustizia, Piromalli è tornato nella sua Gioia Tauro. Gli inquirenti non hanno dubbi: l’intraprendenza criminale dello storico boss non era stata minimante usurata dalla lunga detenzione. Nonostante la sorveglianza speciale a cui è stato sottoposto dopo la scarcerazione, a ottant’anni Pino “Facciazza” ha ripreso le redini della cosca che, grazie all’opera di ricomponimento del boss, tornava ad essere uno delle più temibili e autorevoli della ‘ndrangheta. Si assiste, in sostanza, alla riscrittura delle dinamiche criminali interne al sodalizio: il mammasantissima, infatti, aveva fin da subito compreso di dover avviare un’opera di restauro della cosca, da lui definita “sta tigre che è Gioia Tauro”. Una “tigre” che aveva bisogno di recuperare le “vecchie regole”, attraverso un progetto di recupero che lo ha visto di nuovo, protagonista assumendo la posizione di comando del clan. D’altronde, come lui stesso ha affermato in un’intercettazione, Pino Piromalli è “il padrone di Gioia”. Ignaro che da quando era stato scarcerato la Procura di Reggio Calabria, all’epoca guidata da Giovanni Bombardieri, lo aveva già messo sotto inchiesta, sapendo che il boss ormai anziano non sarebbe andato in pensione o, come ha detto il procuratore aggiunto Stefano Musolino nel corso di un incontro pubblico tenuto lo scorso luglio a Gioia Tauro, non sarebbe andato “a zappare l’orticello suo.

La storia infatti, stando a quanto emerso dalle indagini, è andata diversamente. Tornato libero, Pino Piromalli ha tentato di riprendersi quello che riteneva suo, alterando le aste giudiziarie per ritornare in possesso dei beni che negli anni gli erano stati confiscati. Beni che poi, secondo l’accusa, sono stati intestati fittiziamente a terzi compiacenti con l’obiettivo di eludere il rischio di una misura di prevenzione patrimoniale. Chi voleva aggiudicarsi l’asta era costretto a versare denaro ai Piromalli, che reinvestivano gli ingenti profitti illeciti in attività imprenditoriali riconducibili alla cosca, attraverso un sistema di riciclaggio e autoriciclaggio connesso principalmente ai servizi forniti alle aziende agricole del luogo.

Per i pm, a Gioia Tauro c’era una gestione unitaria della cosca Piromalli in grado di operare come un’unica entità economica, i cui profitti illeciti venivano condivisi e distribuiti. In base a quanto ricostruito, infatti, “Facciazza” è tornato al comando della direzione strategica-operativa del clan assieme ai suoi fratelli Gioacchino e Antonio, di 91 e 86 anni. Oltre alle misure cautelari, la Procura antimafia ha emesso un sequestro preventivo d’urgenza per un valore di tre milioni di euro eseguito dai carabinieri del Ros: i sigilli sono stati messi a sei immobili, 16 appezzamenti di terreno, tre imprese individuali e due imprese agricole. Un secondo provvedimento di sequestro è stato emesso dalla sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria e riguarda beni mobili, immobili e rapporti bancari di Pino Piromalli e del suo braccio destro Antonio Zito, per un valore di oltre quattro milioni di euro.

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