Addio Robert Redford. Il carismatico interprete di I Tre giorni del condor, Butch Cassidy, La stangata, L’uomo che sussurrava ai cavalli è morto nella sua casa dell’amata Sundance, nello Utah. Aveva 89 anni.
Il connubio perfetto
Redford è stato l’emblema della star democratica degli anni sessanta/settanta. Il perfetto connubio tra fascino, impegno politico e grandi risultati al box office negli anni della cosiddetta New Hollywood. Il suo charme, la sua presenza magnetica, quel suo modo di lavorare sullo sguardo, sui piccoli gesti, rendendo tutto estremamente naturale e perfino divertito, ha segnato in maniera indelebile la storia del cinema a livello mondiale per almeno un decennio. L’aspetto perennemente da ragazzo, il ciuffo biondo elegantemente scompigliato, Redford aveva raggiunto il successo come attore tra il 1969 e la metà degli anni settanta grazie al fortunato western atipico, malinconico e guascone Butch Cassidy in coppia con Paul Newman, poi inanellando una serie di successi clamorosi: Come Eravamo (1973) con la popolarissima Barbra Streisand; La stangata – altro divertissement giocoso sempre con Newman (1974); I tre giorni del condor (1975), il thriller paranoico più iconico della storia del cinema e Tutti gli uomini del presidente (1976) dove in coppia con Dustin Hoffman interpreta uno dei due giornalisti del Washington post che aprì l’inchiesta che condusse al Watergate e alle dimissioni di Nixon.
L’Oscar per Gente comune
Dopo il periodo stellare, il “sorriso da un milione di dollari” si dedica sia alla sua prima regia (il dramma intimista Gente comune che vince subito un Oscar nel 1980) che alla fondazione nel 1981 del Sundance Film Institute nello Utah, presto festival di cinema indipendente e punto di riferimento anti establishment per le piccole produzioni non solo statunitensi. In questo Redford è stato nel campo attoriale ciò che Coppola e Scorsese sono stati una decina di anni prima nella regia: hanno usato il loro talento e la loro imponente celebrità per sovvertire molte convenzioni dello status quo produttivo, poetico e stilistico della grande industria hollywoodiana mantenendo al contempo intonsa la propria agenda creativa e interpretativa.
L’inizio tra tv (Perry Mason, Alfred Hitchcock presenta) e teatro è sul finire degli anni cinquanta. Proprio sui palcoscenici newyorchesi interpreta A piedi nudi nel parco del celebre commediografo Neil Simon, ruolo che riprenderà poi nella versione hollywoodiana nel 1967 a fianco di Jane Fonda. A piedi nudi nel parco, assieme A questa ragazza è di tutti nel 1966 per la regia di Sydney Pollack, e a La Caccia (1966) con Marlon Brando e la Fonda, sono i titoli che lanciano Redford nel firmamento hollywoodiano in profondo fermento e trasformazione visto l’arrembante tripudio televisivo. Pollack e Redford del resto diventano una coppia professionalmente affiatata tanto che con il regista dell’Indiana Redford girerà ben sette film: Jeremiah Johnson (Corvo rosso non avrai il mio scalpo) nel 1972; i succitati Questa ragazza è di tutti, Come eravamo e I tre giorni del condor; il bistrattato ed intimamente ecologista Il cavaliere elettrico (1978), l’apoteosi del classicismo in La mia africa (1985), Havana (1990).
I ruoli della maturità
“È un attore molto istintivo e impulsivo”, ricordava Pollack nel 2002 dell’amico Robert. “Non credo che ci sia nulla di studiato o premeditato nel suo lavoro. È l’opposto dell’attore che vuole provare a fissare le cose prima di girare”. Negli anni ottanta e novanta, Redford ha recitato in ruoli più classici e maturi, tra questi c’è il giocatore di baseball in Il Migliore, l’avventuriero libero in La mia Africa e perfino il riccone moralmente osceno in Proposta indecente, ma anche nell’amato curatore di cavalli in L’uomo che sussurrava ai cavalli (1998), di cui curò la regia e che divenne un successo al box office nonché il film che impose al pubblico una ancora quattordicenne Scarlett Johansson. Si ripeterà sempre in chiave politica negli anni duemila con Leone per agnelli (2007) sulla complicità statunitense nella guerra in Afghanistan, rifarà coppia oramai da anziano con la Fonda in La nostre anime di notte (2017, con l’apoteosi della prima mondiale al Festival di Venezia), si dedica ad una interpretazione praticamente muta per il naufrago di All is lost (2013), appare nella saga Marvel di Captain America un paio di volte e infine rasenta il crepuscolarismo eastwoodiano nel commovente Old men and the gun (2018), su un simpatico carcerato con il pallino delle evasioni che ricorda molto i personaggi quel Sundance Kid in Butch Cassidy che in fondo è stato il vero lancio mondiale.
Il rifiuto del film Il Laureato
A noi piace però ricordarlo con quel cravattone in maglia anni settanta, protagonista di Il candidato (1972), di Michael Ritchie, il giovane ed idealista candidato democratico per caso, Bill McKay: prima incitato ad essere radicale da un team di spin doctor per vincere le primarie nel proprio partito, poi costretto a diventare genericamente moderato e insulso per battere il forte avversario repubblicano. Quando alla fine quasi per caso vince senza avere più una propria identità politica, rimane imbambolato e muto e chiede, senza ottenere risposta al suo spin, “cosa facciamo adesso?”. Redford rifiutò la parte del protagonista del film Il Laureato (1967), quindi magari sarebbe stata un’altra storia e un’altra storia del cinema. “Curioso, infine, che nonostante sia stato uno dei più riconosciuti e amati attori di Hollywood, Redford come attore non solo non ha mai vinto un Oscar (sempre che quello alla carriera del 2002 possa a essere considerato tale) ma è entrato nella cinquina delle nomination soltanto una volta nel 1974 per La stangata (vinse Jack Lemmon per Salvate la tigre ndr)”.