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“In reparto pediatrico prima di entrare, ho sbirciato e mi sono bloccata, assalita da impotenza. C’è poco da ridere lì”: Laurea Honoris Causa a Paola Cortellesi

Poi al pubblico ha detto: "Mi sono chiesta il perché di questo vostro riconoscimento, di cui sono onorata, e cosa avessero in comune i nostri rispettivi mestieri. Ho pensato all’empatia, alla necessità di mettersi nei panni dell’altro"

di F. Q.
“In reparto pediatrico prima di entrare, ho sbirciato e mi sono bloccata, assalita da impotenza. C’è poco da ridere lì”: Laurea Honoris Causa a Paola Cortellesi

L’attrice e regista Paola Cortellesi, sul palco dell’Auditorium Ennio Morricone della Facoltà di Lettere dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata, ha ricevuto la Laura Honoris Causa in Scienze Infermieristiche e Sanità Pubblica.

“Mi sono chiesta il perché di questo vostro riconoscimento, di cui sono onorata, – ha affermato la Cortellesi – e cosa avessero in comune i nostri rispettivi mestieri. Ho pensato all’empatia, alla necessità di mettersi nei panni dell’altro. Nel mio lavoro è un punto di partenza obbligato, imprescindibile. Bisogna osservare, comprendere, ascoltare. Ci si immedesima, per essere credibili e convincenti, ma è finzione, a un certo punto si esce dal personaggio. Nel vostro lavoro, specie in quello di chi cura e assiste, l’empatia è ugualmente imprescindibile, con la differenza sostanziale che non si tratta di un esercizio di stile, è la vita vera”.

E ancora: “Ricevo questo riconoscimento per aver criticato, attraverso i miei lavori, la discriminazione di genere come narrazione storica. La discriminazione non è solo un fatto sociale o politico, è una costruzione culturale tramandata nei libri, nelle parole, nell’indifferenza, nei modelli che ci vengono imposti sin dall’infanzia. Dobbiamo smontare questa narrazione – afferma – Possiamo metterci in gioco per la difesa dei diritti delle donne, delle bambine e delle adolescenti, perché sappiamo cosa significhi crescere con addosso aspettative che non abbiamo scelto, e sappiamo quanto sia urgente che ogni bambina possa vedersi rappresentata come soggetto di diritti e non come oggetto di giudizi”.

Il cammino verso l’eliminazione delle disuguaglianze e delle discriminazioni di genere, continua l’attrice e regista, “trova in questa sede prestigiosa, nei luoghi del sapere, dell’educazione e della cura alleati e alleate. Considero questa onorificenza non solo un premio all’impegno, ma anche come un segno che l’impegno collettivo può cambiare le cose”. Quindi la dedica “alle colleghe e ai colleghi artisti, negli ultimi tempi ingiustamente vilipesi, e a chi, come voi, continua a credere che la parola, gli esempi e le storie possano diventare strumenti di trasformazione sociale”.

In merito al suo percorso di formazione accademica e sul campo, Cortellesi racconta che da giovane non ha conseguito la Laurea, “ho interrotto gli studi universitari in Lettere e filosofia a metà del percorso, per studiare teatro. Mi piaceva tanto far ridere, così ho iniziato a lavorare come comica. Negli anni ho potuto declinare questo lavoro in tanti modi e su palcoscenici diversi. Ho avuto molte soddisfazioni professionali, la più importante delle quali è stata la libertà di scrivere le storie che mi stavano a cuore e sentirmi responsabile delle emozioni di chi le guarda”.

Inoltre, “ho avuto modo di visitare più volte, su invito del personale medico, reparti pediatrici. La prima volta prima di entrare, ho sbirciato nella stanza e mi sono bloccata sulla soglia pietrificata, assalita da un senso di impotenza e sentendomi molto inopportuna. C’è poco da ridere in quei reparti. Eppure, chi ci lavora, lascia quotidianamente a casa le difficoltà della propria vita per dedicarsi agli altri. La caposala che mi accompagnava vedendomi in difficoltà, mi ha stretto le spalle e con la voce gentile dell’esperienza ha pronunciato il mantra di artisti e saltimbanchi, quello che tutti conoscono e che qualcuno usa anche a sproposito, ma che in quel momento era carico del suo significato più bello: ‘The show must go on’. Sono entrata nella stanza e ho dato il massimo, per ciò che mi compete. Ho cercato di essere la migliore buffona di sempre. Aver strappato quel sorriso, lì dentro, non ha risolto niente, non ha cambiato le cose, ma forse ha rappresentato un attimo di sollievo. Ci sono luoghi, in cui si lavora anche per gli istanti”.

(Foto Frame Video Università Tar Vergata Instagram)

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