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“Papa Leone può essere una speranza. Da Francesco mai una parola di conforto, una telefonata”. Pietro Orlandi commosso al Giffoni Film Festival

di F. Q.
“Papa Leone può essere una speranza. Da Francesco mai una parola di conforto, una telefonata”. Pietro Orlandi commosso al Giffoni Film Festival

Il tempo ieri si è fermato a Giffoni che da 55 anni ospita, in questo piccolo borgo campano, il primo festival di cinema per ragazzi al Mondo ideato da Claudio Gubitosi negli anni ‘70. Domenica 20 luglio i giurati della sezione Impact! hanno assistito all’anteprima di42”, il docufilm sul mistero della cittadina vaticana. Quei 42 anni che ci separano da una delle tragedie più impenetrabili d’Italia non hanno fermato la lotta di Pietro Orlandi che, visibilmente commosso, ha incontrato i ragazzi del Giffoni Film Festival nella Cittadella del Cinema che ogni anno accoglie star internazionali e italiane ma che riserva sempre spazio e tempo alle battaglie civili come questa legata al mistero del rapimento della “Vatican Girl”.

Le parole dirette ai giovani

“Non ho la speranza, ho la certezza che si arriverà alla verità. Perché la verità non può rimanere occultata per sempre” ha detto Orlandi, che non ha celato la sua delusione “perché il Vaticano era casa nostra, ma ci hanno voltato le spalle. Abbiamo passato lì un’infanzia meravigliosa: era come se i papi ci tenessero per mano. Ma quando è successa la storia di Emanuela ho avuto la percezione che ci avessero lasciato la mano e voltato le spalle. E non è mai cambiato da allora. Ci sono tantissime situazioni che confermano questo mio pensiero. E non me la prendo solo con il Vaticano, ma anche con lo Stato”. Ai ragazzi che gli hanno chiesto se abbia ancora fiducia nelle istituzioni, ha risposto: “Nelle istituzioni bisogna avere fiducia. Ci sono tre inchieste in questo momento su Emanuela: una in commissione parlamentare, un’inchiesta vaticana e una della procura di Roma”. E ha aggiunto: “Dopo 42 anni tre inchieste aperte non è normale. Poi c’è chi rema contro, ma se c’è la volontà di andare avanti è positivo”. Sul nuovo Papa ha detto Orlandi: “Il nuovo papa può essere una speranza. Lo era anche l’elezione di papa Francesco. Dopo due settimane mi disse la famosa frase ‘Emanuela sta in cielo’. Ma il fatto che il papa nominasse Emanuela era importante. Pensai che avesse la forza, il coraggio e la voglia di andare avanti fino alla verità”. Invece poi “il muro si è alzato più di prima. Ho sperato fino all’ultimo istante che potesse incontrare me o mia madre. Invece mai una parola di conforto, una telefonata”. Nonostante tutto, dice Pietro Orlandi, “io devo essere sempre ottimista. So che ha incontrato già tante persone. C’è stato un Angelus il 22 giugno, giorno dell’anniversario della scomparsa. Speravo in un ricordo di Emanuela, e purtroppo non c’è stato. Ero convinto che leone XIV avrebbe speso una parola. Se l’aspettava anche mia madre”. Ma, ha aggiunto: “Io mi auguro che possa essere contraddetto presto. Perché papa Leone ha detto che il suo pontificato si baserà su tre parole: pace, verità e giustizia. Nella nostra famiglia non ci sarà pace finché non avremo verità e giustizia”.

Quindi ha concluso: “Ci sono persone che sanno, ma tacciono. Sono convinto che c’è ancora oggi un ricatto in atto. Questo tempo mi ha logorato. È difficile recuperarlo. Quando è successo questo fatto si è aperta per me una specie di parentesi. E io spero che si chiuda, quando arriverà la verità, per recuperare quella serenità che avevo. Oggi ho un’altra serenità, ma non quella. Ma noi pensiamo di essere più forti di quel tempo. Arriveremo alla verità e, se non ci dovessi essere più io, ci sono tante persone che hanno dimostrato solidarietà. Il sacrificio di Emanuela spero possa non essere vano, possa cambiare le coscienze delle persone. Cambiarle a ragazzi e ragazze della vostra età è molto importante. Io vedo in voi un senso di giustizia molto forte, vedo in voi lo spartiacque tra il passato e un mondo migliore”.

42, il documentario

Elettra Orlandi, regista di 42, ha spiegato ai ragazzi il perché della scelta di non realizzare un documentario di inchiesta su sua zia Emanuela: “Non volevamo fare un documentario di inchiesta, sono stati fatti e fatti bene. Allora abbiamo pensato di vedere le vite intorno a queste storie. Volevamo far immedesimare nella vita non solo della persona rapita ma di quelle che vivono intorno. Le vite delle persone intorno restano sospese”. É Rebecca Orlandi, autrice di “Mantello di quercia”, la canzone che chiude il documentario, a emozionare la sala e lo stesso Pietro, suo padre che ha raccontato: “Rebecca quando ha scritto questa canzone non l’ha scritta per Emanuela. Io la sentivo cantare dalla cucina e mi sembrava che Emanuela cantasse. Quando dice “una barca in mezzo al bosco e non posso uscire perché non posso aprire le vele”, è come se cantasse Emanuela. Non l’ha scritta per Emanuela ma per me quella è la canzone di Emanuela”. E Rebecca in qualche modo conferma: “La musica e l’arte non sai da dove arrivano, le trasporti solo – dice – Questo testo è l’unico che, dopo il primo verso, ho scritto senza fermarmi fino alla fine”.

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