Televisione

Nicole Kidman è la protagonista di Nine Perfect Strangers 2: la recensione della seconda (brutta) stagione

Personaggio principale è la 'guru' delle droghe psichedeliche Masha Dmitrichenko e i nove sconosciuti vengono radunati in un ex manicomio in montagna. L'obiettivo? Drogarli, con il loro accordo. Un accordo che però non è così 'consapevole' come credono

di Claudia Rossi
Nicole Kidman è la protagonista di Nine Perfect Strangers 2: la recensione della seconda (brutta) stagione

Sesso droga and rock’n’roll è un assioma di altri tempi , ‘abusato’ e cavalcato. Sia cinema che serie tv sono entrati volentieri nell’equazione. Di film ‘stupefacenti’ ce ne sono in quantità, e non pochi di qualità. Scarface, Blow, Trainspotting, Paura e Delirio a Las Vegas, volendo anche il Big Lebowski (cannette) ma l’elenco sarebbe infinito. Serie tv pure, Breaking Bad su tutte e per non fare troppe liste. Tra alti e bassi, tra pretestuoso e sensato, l’utilizzo di sostanze ha avuto un ruolo magari scomodo, ma nei casi migliori ‘funzionale’ al racconto (e, a volte, anche al messaggio).

Venendo al dunque, la seconda stagione di “Nine Perfect Strangers” viene stroncata da tanti – giornali e spettatori – perché nessuno ha voglia di vedere degli attori che fingono di sballarsi purchessia. La trama non intrattiene, non fa riflettere, non turba. La seconda stagione della serie con Nicole Kidman è, semplicemente, brutta. E sì che l’idea di base (che arriva da un libro di Liane Moriarty dal quale era tratta la prima stagione – decisamente migliore) c’è: usare sostanze psichedeliche per curare i traumi e ‘sbloccare’ ferite emotive è un tema interessante e pone una domanda legittima, potrebbe davvero essere una via percorribile? Non che la faccenda sia nuova. Negli Stati Uniti – per esempio – l’MDMA e la psilocibina hanno già ottenuto lo status di ‘Breakthrough Therapy’ dalla FDA, rispettivamente per il PTSD (2017) e per la depressione (2019), aprendo la strada a studi clinici avanzati.

Ma torniamo alla serie. Protagonista è la ‘guru’ Masha Dmitrichenko (Nicole Kidman): nella prima stagione, Masha raduna nove perfetti sconosciuti in un resort dal nome di dubbio gusto, Tranquillum House, e inizia a somministrargli sostanze a loro insaputa, così da ‘causare’ visioni e farli ricongiungere coi loro parenti morti. Nella seconda stagione la prospettiva cambia e ci si chiede cosa accadrebbe se questa diventasse un’opzione per ricchi. Se chi ha il portafoglio gonfio potesse pagare un soggiorno in lussuoso rifugio alpino, dove il ‘benessere’ si raggiunge con grasse dosi di funghetti. Ovviamente nulla va come hanno pianificato dagli ospiti, perché Masha ha un’altra agenda. E anche stavolta, è lei a scegliere i “nove perfetti sconosciuti”. Chi sono?

Brian (Murray Bartlett), ex volto di programmi per bambini che s’è infuriato proprio durante una diretta ed è stato sottoposto a gogna mediatica.

Tina (King Princess), una pianista col blocco da tastiera che è con alla fidanzata Wolfie (Maisie Richardson-Sellers).

Peter (Henry Golding), uno che cerca di riconciliarsi col padre multimilionario David Sharpe (Mark Strong), anche lui ospite del resort.

Agnes (Dolly de Leon), ex suora che ha visto succedere cose oscene in un ospedale da campo e cerca redenzione.

Victoria (Christine Baranski), meravigliosa signora che è assieme al sua toy boy Matteo (Aras Aydin) e a sua figlia Imogen (Annie Murphy)

Se siete arrivati fino a qui, potreste pensare che parrebbe una serie attraente. E lo è. Poi però delude. Nicole Kidman è brava – ha persino riguadagnato una certa espressività facciale – ma le battute che le affidano sono così vuote e pretenziose che a tratti pare una parodia involontaria. Bartlett è l’unico che riesce a reggere davvero: il suo Brian, nervoso e ferito, ha un arco narrativo coerente. Il resto? Non va. C’è una puntata dove tutta la combriccola assume consapevolmente droga e viene portata a un museo di animali imbalsamati. Lo spettatore se ne sta lì e guarda questa scena, con un certo sgomento: l’utilità narrativa è pressoché nulla. Né carne, né pesce, né niente. Di esempi così ce n’è uno per episodio. In The White Lotus (inevitabile il paragone), la ricchezza ‘tossica’ veniva ‘letta’ e smontata. In Nine Perfect Strangers non ci sono analisi ma un vuoto di scrittura e di senso. Quando la sostanza allucinogena è l’unico contenuto narrativo, lo spettatore (sobrio) si annoia.

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