Ha colpito l’opinione pubblica la vicenda resa nota ieri, giovedì 10 luglio, di un 17enne morto mentre stava tentando di scavare un tunnel sul fondo della buca di oltre un metro e mezzo che aveva fatto nella sabbia. Riccardo Boni è stato ritrovato sepolto mercoledì 9 luglio, su una spiaggia di Montalto di Castro (Viterbo).
È tornato così prepotentemente attuale lo studio condotto del 2007 dai ricercatori statunitensi Bradley e Barry Maron, su un periodo compreso tra 1990 e 2006. Secondo i dati dell’Università della Florida, i morti causati dagli squali erano infatti stati appena 12, ben 4 in meno di quelli causati da ciò viene chiamato “sand entrapment”, ossia “intrappolamento da sabbia”.
Padre e figlio hanno basato il loro rapporto principalmente su resoconti giornalistici e ricerche su Internet. La maggior parte degli incidenti si è verificata negli ultimi 10 anni, quando erano disponibili resoconti su Internet.
In totale, hanno contato 31 decessi per incidenti ricreativi in buche di sabbia dal 1985 negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Australia e in Nuova Zelanda. Hanno contato altri 21 incidenti in cui una persona è stata salvata da un crollo, in diversi casi da passanti che hanno praticato la rianimazione cardiopolmonare. Le vittime, per lo più ragazzi, avevano un’età compresa tra i 3 e i 21 anni, con un’età media di circa 12 anni.
Il consiglio degli studiosi è stato quello di non lasciare che i bambini piccoli giochino nella sabbia incustoditi e di non infilarsi in buche più profonde delle ginocchia.
“In genere, le vittime vengono completamente sommerse dalla sabbia – ha detto Bradley Maron della Harvard Medical School – quando le pareti della buca crollano inaspettatamente, senza lasciare praticamente alcuna traccia della buca o della posizione della vittima”.
