Un’infermiera britannica che si è sottoposta a un intervento di mastoplastica additiva in Turchia è ancora bloccata nel Paese sette settimane dopo, spendendo migliaia di euro per cercare di salvare i suoi capezzoli e il suo seno. Chloe Roiser, 31 anni, madre di cinque figli, è stata sottoposta a un intervento chirurgico in un ospedale di Antalya, ma ora rischia di perdere l’intero seno. Chloe si è recata in Turchia ad aprile per sottoporsi all’intervento chirurgico da 3.500 sterline (circa 4.000 euro), ma è stata costretta a ritornarvi a fine maggio dopo aver rimosso la medicazione che ha rivelato una grave infezione. Al momento è bloccata in Turchia, dove ha speso migliaia di euro in più per l’alloggio, mentre riceve le cure per combattere una grave infezione. Ha dichiarato che non avrebbe mai dovuto farsi toccare: “Tutti mi avevano avvertito di non andarci, ma pensavo di saperne di più. Quando fai ricerche non ti aspetti che accada una cosa del genere, non una cosa così brutta”. “L’ho prenotato all’inizio dell’anno, sono partita ad aprile e sono andata subito in ospedale. Ho fatto una radiografia e un prelievo del sangue. Ho dormito tutta la notte e il giorno dopo mi hanno portato in una clinica privata”. L’intervento chirurgico del 24 aprile ha richiesto un pernottamento, ma Chloe non ha notato nulla di anomalo. Ha detto: “Sembrava andare tutto bene. Non sai cosa aspettarti se non ti è mai capitato prima. Prendevo antidolorifici forti, ero davvero, davvero dolorante. Avevo dei drenaggi sul seno, e non riuscivo a vedere nulla, c’erano delle bende sopra tutto. Ho seguito un ciclo di antibiotici e antidolorifici per tre giorni nell’hotel che ci avevano assegnato”.
Quattro giorni dopo, durante un controllo, racconta: “Sembrava che andasse tutto bene e mi hanno risistemato la medicazione”. Il giorno dopo, prima del ritorno a casa a Wymondham, nel Norfolk, si è svolto il suo ultimo controllo, che ha previsto una revisione filmata da parte della clinica. I medici hanno consegnato a Chloe alcuni documenti sulle cure successive e la donna ha ottenuto il permesso di tornare nel Regno Unito. Ha detto: “Ho seguito tutte le procedure postoperatorie. Ho una laurea in infermieristica, non sono una sciocca, so quello che faccio. Mi hanno dato tutto il necessario per la riparazione e ho eseguito tutto il lavoro. Ho notato che sul seno i punti sembravano indicare che ci fosse qualcosa che non andava. Il nastro adesivo intorno era leggermente in rilievo, ma non si poteva togliere, quindi non vedevo nulla. E non avevo sensibilità ai capezzoli, quindi non sentivo dolore né altro.” Quando a fine maggio Chloe riuscì a togliersi il nastro adesivo dal seno, si rese conto che “i bordi dei miei capezzoli erano rossi e sporgenti”. Ha detto: “Non c’erano segni di infezione importanti. Stavo mettendo la crema che mi avevano dato e ho mandato loro dei messaggi: mi hanno detto di continuare a usare la crema…”.
Ma nel giro di una settimana, il seno di Chloe era visibilmente infetto. Alla fine ha deciso di ritornare in Turchia per farsi controllare: “Quando i medici mi hanno visitata, hanno dovuto farmi sei iniezioni di antibiotici e quattro anestetici locali direttamente nel seno. Era un’infezione davvero grave, hanno dovuto asportarla tutta con il bisturi. Hanno detto che avevo perso quella parte del capezzolo e hanno confermato che a quel punto era necrosi. Mi hanno somministrato degli antibiotici tramite un’iniezione nel seno e poi due antibiotici da prendere per sette giorni. Avevo prenotato il viaggio per sette giorni pensando che sarebbe andato tutto bene, che sarei tornato a casa… Poi, mi hanno detto che dovevo rimanere qui più a lungo. So che queste complicazioni possono verificarsi, ma la necrosi è causata dalla mancanza di apporto di sangue, spesso a causa dell’intervento chirurgico. Aspetto che mi diano tutta la documentazione”. La donna ha poi aggiunto di temere molto l’esito finale di tutta la procedura e anche dal punto di vista economico, di essere all’oscuro relativamente alla copertura assicurativa della struttura alla quale si è rivolta.
“Le cifre basse per un intervento chirurgico devono rappresentare un forte campanello di allarme” ha commentato Maurizio Ressa, Presidente della Società Italiana di Chirurgia Plastica Ricostruttiva ed Estetica (SICPRE) e direttore della Struttura Complessa di Chirurgia Plastica IRCCS “Giovanni Paolo II” Istituto Tumori di Bari. “Sfortunatamente questi prezzi stracciati – che in alcuni casi coprono perfino l’alloggio – sono in massima parte possibili grazie a forti carenze dal punto di vista della qualità del servizio. Quando parliamo di chirurgia plastica non dobbiamo mai sottovalutare la parola chirurgia che richiama la necessità di una ponderazione seria e consapevole da parte del paziente e l’affidamento a un professionista di provata competenza. Su questo fronte, oltre alla questione prezzo, un intervento all’estero offre ulteriori criticità. A partire dalla mancanza delle necessarie visite preliminari che permettono un confronto tra medico e paziente e in alcuni casi portano addirittura a sconsigliare l’intervento. Accade invece che in molte cliniche di scarsa professionalità all’estero si passi direttamente all’operazione e non si arrivi praticamente mai a rimandare indietro il paziente pur di monetizzare l’intervento. E una volta che questo c’è stato – ovviamente – viene a mancare anche il dovuto accompagnamento post operatorio, dato che il paziente rientra in patria. E se come spesso avviene ci si trova ad avere a che fare con – anche gravi – problemi postoperatori tutto ricade Sul Servizio Sanitario Nazionale. E’ per questo che come SICPRE abbiamo dato vita al registro delle complicanze da interventi all’estero che ha come obiettivo la raccolta di dati sistematici e accurati sugli interventi chirurgici effettuati al di fuori dei confini nazionali. Questo strumento mira a conoscere l’entità reale del fenomeno, oltre che monitorare la sicurezza dei pazienti, raccogliendo informazioni sui tassi di complicanze post-operatorie, le infezioni, i casi di insoddisfazione estetica e altre problematiche sanitarie che possano emergere successivamente agli interventi. Un registro di questo tipo potrebbe rappresentare uno strumento cruciale per favorire una maggiore trasparenza nel settore. In quest’ottica, il coinvolgimento del Ministero della Salute è stato necessario al fine di disciplinare la risposta etica, professionale ed economica (costi sanitari) a tale fenomeno.”