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È la guerra della povertà quella che miete più vittime al mondo. Ma nessuno se ne vergogna

Tutto ciò dovrebbe far vergognare chi profitta della miseria degli altri per arricchirsi o per illudere i poveri con vuote e false promesse di un domani migliore
È la guerra della povertà quella che miete più vittime al mondo. Ma nessuno se ne vergogna
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Miete più vittime delle altre registrate nel mondo. L’anno scorso i conflitti armati riconosciuti tali erano 61. Quest’unica guerra uccide più che tutte i conflitti messi assieme. Si tratta della guerra della povertà o, se vogliamo, della miseria che porta con sé, troppo spesso nel silenzio, milioni di persone. Un po’ come le cosiddette ‘morti bianche’ cioè quelle sul lavoro. Un’altra vera e propria battaglia quotidiana che vede come protagonista chi non è certo di tornare a casa dopo esserne uscito per lavoro, il mattino. Si calcola che l’anno scorso le ‘morti bianche’ abbiano raggiunto i tre milioni.

La guerra della povertà è peggio perché per gli economisti si perde nelle statistiche, mentre per la gente è una sparizione continua che passa inosservata. Ad essere cancellati sono i poveri. Le tracce della miseria durano a lungo perché coinvolgono i bambini, le donne e i giovani. La miseria è il frutto più immediato di guerre, movimenti forzati di popolazione, avversità climatiche ma soprattutto di classi politiche ammalate di potere e spogliamento del popolo nel più breve tempo possibile. Cause esterne, interne e purtroppo ‘eterne’ si perpetuano perché abbiamo smarrito la vergogna.

Sembra scomparsa, la vergogna, dal lessico e soprattutto dal volto, le parole e le azioni. Si tratta del sentimento, innato e allo stesso tempo frutto culturale, che manifesta l’inadeguatezza tra la verità dell’onestà e il nostro agire e sentire. La crescita, tutta occidentale, dell’individualismo e del fin troppo citato relativismo non possono che produrre l’esilio della vergogna. Gli atti, le scelte, le parole e financo l’abbigliamento non si misurano più con lo sguardo dell’altro. Il ‘principio di responsabilità’ è stato spazzato via dall’utilitarismo capitalista che tutto mercifica e traduce, senza vergogna, in denaro.

Investire somme abissali destinate a servizi sociali in armi, ordigni letali studiati e programmati allo scopo di uccidere il ‘nemico’ fa ormai solo vergognare i pochi irriducibili ‘idealisti’. Nel frattempo nel Sahel imperversa la vulnerabilità alimentare per milioni di persone, l’indigenza al quotidiano, la mancanza di strutture educative e sanitarie. Mancano dispositivi che facilitino l’ingresso dei giovani nel mondo lavorativo. Non si vergogna affatto la classe politica al potere, gli intellettuali attirati dalla retorica che sembra promettere loro un futuro e i leader religiosi che puntellano il sistema fatiscente.

Il Fondo Monetario Internazionale, che sappiamo non essere un ente di beneficenza, ha rilasciato un documento che, prendendo in considerazione il Pil dei Paesi, stila la lista dei 10 Paesi col reddito pro capite più basso in Africa. Con tutti i limiti che questo tipo di operazione sappiamo comporta, rimane utile affacciarsi su questa strana e drammatica classifica che nasconde ciò che mostra ed evidenzia ciò che nasconde. Ci sono numeri che offuscano le cause e facilitano l’operazione di sminamento del sentimento di vergogna che dovrebbe toccare i politici per primi.

Senza sorpresa, l’Africa subsahariana domina la classifica. I conflitti cronici, la debolezza istituzionale e una élite politica sempre più spesso militarizzata non sembrano in grado di offrire alternative coerenti ed efficaci alla precarietà di vita dei popoli che dovrebbe servire. Nell’ordine della lista si trova il Sudan del Sud, lo Yemen, il Burundi, la Repubblica Centrafricana, il Malawi, il Madagascar, il Sudan, il Mozambico, la Repubblica Democratica del Congo e il Niger, Paese nel quale ho il privilegio di trovarmi. Tutto ciò dovrebbe far vergognare chi profitta della miseria degli altri per arricchirsi o per illudere i poveri con vuote e false promesse di un domani migliore. Finchè la vergogna non ritornerà ad essere una materia di insegnamento nella grammatica della vita quotidiana, sarà difficile cambiare lo sguardo sul mondo.

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