Palermo, nel palazzo che fu della mafia degli affari adesso c’è la Sartoria sociale: “Nuove chance per tessuti e persone”
Un bene confiscato alla mafia trasformato in un luogo di rinascita per vestiti e persone. Succede nel cuore di Palermo, dove un edificio simbolo degli affari di Cosa Nostra nel mondo degli appalti si è trasformato in una sartoria che dà nuove chance a tessuti e storie personali. “Abbiamo deciso di guardare il mondo al contrario, di ribaltare tutto”, racconta Rosalba Romano, tra le fondatrici di Al Revés, il mondo al contrario appunto, nome scelto dalla cooperativa sociale per questo esperimento di riscatto sociale e rigenerazione. Siamo a poche centinaia di metri dal carcere minorile Malaspina: partendo dal Teatro Massimo ci si lascia alle spalle il centro storico per addentrarsi in quella fetta di città che ha cambiato volto negli anni ’60.
Qui ci ha dato appuntamento Rossella Failla, la responsabile della comunicazione della Sartoria Sociale che fa da Cicerone. Si entra così in un arcobaleno di ritagli di borse, magliette, gonne e persone. Una di queste borse porta la scritta “No Mafia”, altre invece sono firmate dalla mano delicata di Giovi, al secolo Giovanni Tortorici: è lui a disegnare le immagini stampate nella collezione di magliette, cuscini e borse che la sartoria sfoggia tra le ultime produzioni. Giovi, un uomo di 36 anni con la sindrome di Down, lavora alla pressa della nuovissima stampante acquisita grazie a un finanziamento di privati (Fondazione Peppino Vismara, Fondazione per il Sud, Fondo Carta Etica Unicredit). Fiori e soli che, nelle sue mani, acquistano un tocco delicato e originale, diventando stampe ideali per un regalo.
Quella dove si trova la stampante è la prima stanza in cui si entra, poi il tour prosegue in quelle centrali, dove il caleidoscopio di tessuti e il ronzio delle macchine da cucire hanno preso il posto dove un tempo si celavano affari illeciti. L’immobile di via Alfredo Casella è stato costruito tra gli anni ’70 e ’80 su iniziativa della Immobiliare Raffaello, una società di cui Antonino Buscemi era socio insieme a Francesco Bonura e Vincenzo Piazza. Confiscato nel 1998 e rimasto chiuso per oltre 15 anni, è stato assegnato alla cooperativa sociale Al Revés per il progetto Sartoria Sociale il 14 novembre 2017.
Per capire quanto si sia davvero rivoltato il mondo in via Casella, bisogna soffermarsi proprio su Buscemi, l’imprenditore vicino a Totò Riina, che faceva affari con le imprese del Nord nel ricchissimo mondo degli appalti pubblici. Fratello di Salvatore, capomafia della famiglia di Passo di Rigano, Buscemi era una figura centrale e potente della “mafia imprenditrice” degli anni ’80: è stato tra i principali indagati dell’inchiesta su Mafia e appalti, la prima indagine a fare luce sui rapporti tra Cosa Nostra, la politica e l’imprenditoria per la gestione delle gare pubbliche.
Via Casella è dunque il crocevia di ciò che ancora resta ignoto di una delle pagine più oscure d’Italia. Lì, adesso, tutto è luce, colore. È speranza: “Quando sono arrivata ero terrorizzata, ma dovevo sopravvivere. La cosa che mi ha aiutata è stata trovare persone che hanno aperto porte per me. Da lì ho ricominciato”, racconta Roseline Eguabor, presidente di Al Revés. “La Sartoria Sociale – continua – è esattamente questo: una porta aperta a tutti, un posto dove chiunque può venire, creare nuove amicizie, imparare. Un posto dove chi ha trovato porte chiuse, qui le trova aperte”. La porta è aperta per migranti che sappiano cucire o vogliano imparare farlo, per gli ex detenuti o semplicemente per chi ha voglia di dare una mano.
Il mercoledì è il giorno dei vestiti donati: chiunque può contribuire. I tessuti e i vestiti usati vengono raccolti e selezionati per diversi fini. Alcuni vengono regalati ad associazioni, altri sterilizzati e rimessi in vendita come capi vintage. Una parte viene riutilizzata per creare cose nuove. Si fa anche didattica, con corsi di cucito, si realizzano abiti completamente nuovi. Ci sono 5-6 dipendenti, 3-4 collaboratori e altrettanti volontari, spiega Romano. È lei l’ideatrice della sartoria: “Durante un viaggio in Africa ho visto molte bancarelle dove si cucivano vestiti per i turisti e ho pensato che anche da noi potessero esserci migranti con abilità sartoriali. Mi sono quindi rivolta al Centro Astalli, che si occupa di integrazione dei rifugiati, e mi ha messo in contatto con persone che sapevano cucire o avevano voglia di imparare e fare impresa”.
Quando arriviamo, ci sono Habibou, Kalifa e Feva che stanno imparando a cucire. Feva è una giovanissima palermitana, nata da genitori nigeriani, studentessa del liceo classico: “Devo fare un sacco di cose, non mi devo mai fermare, ma senza stress, semplicemente mi piace”. Habibou e Kalifa, invece, sono arrivati dopo un lungo viaggio attraverso l’Africa: dal Gambia fino alla Tunisia, poi a Lampedusa e infine a Palermo. In Italia dal 2023, a Palermo Kalifa è stato operato al cuore, quando aveva appena 18 anni: “Adesso sto benissimo – racconta – e sono molto sollevato. La Sicilia è molto bella, ma molto diversa dall’Africa. Mi trovo bene qui, ma preferisco i luoghi freddi”. “Ci siamo conosciuti qui, veniamo martedì e sabato: ci siamo organizzati secondo gli impegni di Feva, che va a scuola, così stiamo tutti assieme”, racconta Habibou. Un caleidoscopio di storie, volti, tessuti e volontà: in via Casella, rispetto ai tempi di Buscemi, il mondo si è rovesciato. Al Revés, appunto.