“Gli attori non possono vantare alcun titolo di proprietà sui beni rivendicati che non sono del resto mai appartenuti a Re Umberto II per essere di proprietà dello Stato fin dal tempo dello Statuto Albertino e rimasti tali nel passaggio alla Costituzione Repubblicana”. Con questo passaggio Tribunale Civile di Roma ha stabilito che i gioielli della corona non sono della famiglia Savoia, ma appartengono al Popolo italiano.
Non è tardata ad arrivare la risposta del principe Emanuele Filiberto di Savoia in una intervista rilasciata al settimanale Oggi: “Non è amarezza per un valore economico. È per l’umiliazione della verità. I gioielli della Corona non sono solo oggetti preziosi da museo: sono simboli, testimonianze vive della storia unitaria d’Italia, di una monarchia costituzionale che ha servito il Paese no all’ultimo giorno”.
Tra i vari beni che la famiglia non rivedrà mai ci sono il Castello di Pollenzo, la Mandria, San Rossore. Tutte proprietà che il principe chiede che vengano restituite: “Non solo, collezioni d’arte, arredi, suppellettili, argenterie, archivi, memorie di famiglia. E poi ci accusano, ancora oggi, di essere ladri. È inaccettabile. L’esproprio fu un atto di vendetta politica, privo di qualsiasi valutazione oggettiva. Che a quasi 80 anni di distanza si continui in questa linea è, francamente, uno scandalo nazionale”.
E ancora: “Mio padre avrebbe dovuto ricevere un’abitazione, una scorta simbolica, un rientro dignitoso in Patria. Nulla è accaduto. Tutto è stato negato. Perché? Per paura. Per debolezza politica. Un Paese forte non teme la sua storia. Casa Savoia ha un ruolo anche nelle repubbliche moderne: culturale, diplomatico, simbolico. Ma l’Italia ha preferito dimenticare. È tempo di cambiare rotta. La monarchia non è più un’istituzione, ma il suo spirito, di unità, servizio e responsabilità, può ancora dare molto. Noi non chiediamo privilegi. Chiediamo solo che ci sia permesso, come abbiamo fatto da sempre, di contribuire al bene dell’Italia“.