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‘Ndrangheta, nelle intercettazioni dei narcos i presunti contatti per aggiustare i processi

Dalle intercettazioni dell'inchiesta della Guardia di finanza di Cernusco Lombardone e del Gico Goa di Milano emergono i colloqui degli uomini vicini alla ‘ndrangheta per aggiustare il processo di un boss legato alla cosca Alvaro. Nei dialoghi si parla di un "avvocato" che "lavora al Quirinale"
‘Ndrangheta, nelle intercettazioni dei narcos i presunti contatti per aggiustare i processi
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Sostenevano di poter aggiustare un processo grazie a un contatto che lavora al Quirinale. Fiumi di droga, denaro e rapporti istituzionali che – secondo le intercettazioni – potrebbero arrivare ad alto livello. Insomma, un quadro inedito quello tratteggiato dall’indagine del Gico-Goa della Guardia di Finanza di Milano. Non sono solo trafficanti di droga, ma un cartello i cui esponenti, se pur non accusati di reati di mafia, hanno riunito gli interessi delle cosche Alvaro, Pelle, Papalia. Ovvero Sinopoli, San Luca, Platì. Un triangolo di ‘ndrangheta allargato tra i più forti e influenti. Indagine andata a dama mesi fa e di cui ilfattoquotidiano.it aveva dato notizia per primo e che ha coinvolto un soggetto del calibro di Domenico Papalia, figlio di Antonio per anni reggente della ‘ndrangheta nel nord Italia e in contatto con Giuseppe Pelle, indagato in questa inchiesta, che ha gestito affari e riciclaggio tra Italia e Germania. Oggi però il cerchio si è chiuso dopo i sequestri preventivi firmati dal giudice che hanno svelato il tesoro dei narcos alimentato dalla cocaina e da un bel vortice di fatture false fatte attraverso società attive nel settore delle cooperative di lavoro e individuato grazie al prezioso lavoro della tenenza della Guardia di finanza di Cernusco Lombardone in provincia di Lecco. Non solo. Va agli atti un episodio che, mai visto nella storia criminale recente, tratteggia gli interessi della ‘ndrangheta per un uomo che lavorerebbe dentro al Quirinale. Tutto per aggiustare il processo di un boss legato alla cosca Alvaro.

È il 2021, quando per la prima volta l’anti-droga del Gico-Goa coglie l’interesse del narcos Pietro Garonfalo per Giorgio Violi, zio detenuto dell’amico e sodale Domenico Violi. Sarà Garonfalo a sostenere di poter puntare dritto al Quirinale per smontare la condanna di Violi. E così al nipote spiega: “Ma mica gli sto dicendo a Giorgio che stiamo mettendo l’avvocato e quando esce vado a bussargli alla porta e gli dico Giorgio ti ho pagato l’avvocato dammi i soldi indietro, questa è una cosa che lo fai di cuore, è un cristiano che merita e dove mette i piedi escono rose”. Parole che si devono a chi conta nella ‘ndrangheta. Anche Vincenzo Romano, pure lui collegato al narco-cartello, usa parole di rispetto per Giorgio Violi quando parla col nipote: “Me lo saluti e glielo dici: ha detto Vincenzo che quello per la famiglia, di quello che possiamo qua è a disposizione”. Violi in quel momento è ristretto nel carcere di Vicenza in attesa della Cassazione e il gruppo si mette pancia a terra per fare sì che gli alti giudici annullino la sentenza per farlo uscire. Il discorso è: “Lo dobbiamo aiutare (…). Riuscire in qualche modo a mettere i piedi fuori”. A parlare del Quirinale ci pensa il cugino omonimo di Pietro Garonfalo che “menzionava un suo conoscente funzionario presso un Ministero della Repubblica Italiana”. Intercettato spiega al nipote di Giorgio Violi: “Sarà in pensione però ogni tanto mi scrivo con una sua figlia che fa l’avvocato a Roma”. Del funzionario del ministero, poi spiega “che era dei Ros, era al ministero, quello lì che andava da mio papà”.

La strada sembra buona e così Garonfalo prosegue: “Scrivo a sua figlia e chiedo di incontrarla”. L’altro esclama: “Cugino io prendo la macchina e andiamo a trovarla insieme”. Quindi Pietro Garonfalo, annota la Guardia di finanza, si raccomanda con il cugino affinché “le pratiche del giudizio di Cassazione in capo a Giorgio Violi fossero gestite in modo tale da giungere all’annullamento delle sentenze”. Dice in presa diretta: “Fammi tutta la Cassazione come dico io, chiudiamo, devono annullare il fatto”. Al che il cugino che sostiene di avere un contatto diretto dentro al Quirinale: “Tanto sempre con quello li dobbiamo parlare”. Lo interrompe Pietro Garonfalo rassicurandolo sulle regalie future: “Poi digli del pensiero, senza promettere niente che il pensiero è nostro poi lui sa con chi deve andare”. Poi ecco i riferimenti alla Presidenza della Repubblica: “È avvocato ma non fa l’avvocato, lavora al Quirinale nella Presidenza della Repubblica quando cambia il Presidente, lei sempre lì resta al Quirinale, una di quelli che fanno quello che si deve fare al Quirinale”. Non è chiaro se si tratti di un uomo o una donna, né i due danno altri riferimenti più dettagliati sull’identità della persona in questione.

E se i rapporti vantati con questo dipendente del Colle rappresentano il capitale sociale del cartello, auto di lusso, case, ville, conti bancari e denaro contante nascosto nei muri ne sono il tesoro, autentico e tangibile a cui oggi sono stati messi i sigilli. Alle proprietà di Giuseppe Pelle gli esperti dell’anti-droga ci arrivano seguendo gli interessi della sua compagna e scoprendo che a lei è intestato quasi il 100% della Sportcar srl, società di auto di lusso con sede a Varedo in Brianza con capitale sociale versato dalla donna di 10mila euro del tutto incompatibile con il reddito dichiarato mensile di appena 400 euro. E visto che Giuseppe Pelle è risultato amministratore di una società di diritto tedesco attiva nel settore delle auto di lusso, la conclusione degli investigatori è stata veloce: “La neo costituita Sportcar S.r.l., formalmente intestata alla compagna è di fatto riconducibile e nella piena disponibilità dell’indagato Giuseppe Pelle”. Per Domenico Papalia ritenuto uno dei capi del narco-cartello in grado “di ricevere e alienare in tempi brevissimi ingenti quantitativi di cocaina”, il tribunale ha disposto un sequestro per equivalente di 5,5 milioni di euro. Insomma, un gruppo criminale dai rapporti allarmanti. Una storia che è bene concludere ricordando il 21 gennaio 2020 quando Pietro Garonfalo da solo in auto ascolta l’audio del giuramento di ‘ndrangheta: “A nome dei nostri tre vecchi antenati cavalieri di Spagna Osso – Mastrosso e Carcagnosso colgo e raccolgo tutte queste parole sparse al vento e li seppellisco in un pozzo profondo sotto il livello del mare giuriamo saggi compagni e non verranno mai scoperte né oggi né domani e nemmeno nell’ora del giudizio universale e se qualcuno le scoprirà la pagherà con 3 a 5 colpi di pugnale come è prescritto per regola sociale … lo giuro”.

*Articolo aggiornato da redazione web alle ore 20 e 56 del 28 maggio 2025

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