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Migranti, Meloni all’attacco della Convenzione sui diritti dell’uomo. Iniziativa con Danimarca e altri sette

In una lettera aperta vengono criticate le sentenze della Corte EDU. "Basta strumentalizzare i diritti come arma contro le nostre frontiere", ha scritto la premier su X
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Sulla gestione dell’immigrazione Italia e Danimarca intendono rivedere l’interpretazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU). Giovedì 22 maggio, in conferenza stampa a Palazzo Chigi, Giorgia Meloni e la premier danese Mette Frederiksen hanno annunciato la lettera che critica apertamente l’attività della Corte di Strasburgo e alla quale hanno aderito altri sette Paesi europei (Austria, Belgio, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca). L’obiettivo è “ristabilire il giusto equilibrio” nella lettura delle norme, ha detto Meloni lamentando “paradossi” che impediscono agli Stati di “agire a difesa della sicurezza dei propri cittadini”, in particolare nel caso dell’espulsione di stranieri condannati per reati gravi. Ancora: “Dobbiamo chiederci se i testi… e le loro interpretazioni sono effettivamente in grado di rispondere alle esigenze che sono sentite dai cittadini”. Ancora più diretta la collega danese: “È semplicemente troppo difficile per noi espellere stranieri che commettono reati dalle nostre società”. L’indomani Meloni ha rilanciato su X: “Basta strumentalizzare i diritti come arma contro le nostre frontiere”.

L’accusa alla Corte è pesante: avere “esteso eccessivamente l’ambito di applicazione della Convenzione” e così “limitato la nostra capacità di prendere decisioni politiche nelle nostre democrazie“, influenzando “il modo in cui noi, in quanto leader, possiamo proteggere le nostre società democratiche e le nostre popolazioni dalle sfide che ci troviamo ad affrontare nel mondo di oggi”. Sul banco degli imputati finiscono in particolare le sentenze che impediscono espulsioni per motivi legati al diritto alla vita familiare o al rischio di trattamenti inumani e degradanti nei Paesi d’origine. L’interpretazione della Convenzione avrebbe portato “a proteggere le persone sbagliate e ha imposto troppe limitazioni alla capacità degli Stati di decidere chi espellere”. Perché la sicurezza dei cittadini rispettosi della legge e delle vittime, secondo i leader, è un diritto fondamentale che “dovrebbe avere la precedenza su altre considerazioni”.

Oltre le dichiarazioni, le ragioni vanno ricercate proprio nelle sentenze CEDU e nei principi della Convenzione al centro di queste. Va ricordato che la Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte EDU) è un organo giurisdizionale del Consiglio d’Europa, istituita per garantire l’applicazione e il rispetto dei diritti sanciti nella Convenzione firmata nel 1950. Diritti che sono considerati “le basi stesse della giustizia e della pace nel mondo”, si legge nella Convenzione. La Corte, infatti, si occupa esclusivamente di tutelare un ristretto gruppo di diritti fondamentali che spettano a tutti gli esseri umani in quanto tali, indipendentemente dalla loro cittadinanza o condizione giuridica. Da qui il problema se la politica rivendica la necessità di trattare in un determinato modo una determinata categoria di persone e chiede per queste una diversa interpretazione dei diritti fondamentali. In materia migratoria le decisioni della Corte riguardano soprattuto la violazione dell’articolo 3 (divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti), l’articolo 5 (diritto alla libertà e sicurezza), l’articolo 8 (diritto alla vita privata e familiare) e l’articolo 13 (diritto a un ricorso effettivo). Il divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti, in particolare, è assoluto e non può essere derogato in alcuna circostanza, nemmeno in caso di guerra o pericolo pubblico. E infatti la giurisprudenza della Corte è costante nel proibire di respingere o espellere uno straniero verso un Paese in cui rischierebbe di subire tali trattamenti.

Stessa materia riguardano anche alcune sentenze in cui l’Italia è stata condannata, relative ai respingimenti in mare nel 2012 e, più di recente, nel 2023, alla detenzione arbitraria e alle condizioni detentive negli hotspot di Lampedusa e Taranto, in violazione degli articoli 3 e 5. Quanto al governo danese, a irritarlo particolarmente è stata la sentenza dell’anno scorso “Sharafane c. Danimarca”, che riguardava l’espulsione di un cittadino iracheno nato e cresciuto in Danimarca, condannato per reati legati alla droga. In quel caso, la Corte ha valutato la decisione di espulsione alla luce dell’articolo 8 (diritto alla vita privata e familiare), bilanciando l’interesse dello Stato a tutelare la collettività con i diritti individuali. La Corte ha ritenuto che le autorità danesi avessero attribuito un peso eccessivo alla gravità del crimine e che il divieto di re-ingresso rendesse di fatto impossibile per l’individuo fare ritorno in Danimarca, Paese in cui era nato e vissuto per gran parte della sua vita. Una vicenda che in qualche modo dialoga con il caso del 40enne di origini marocchine passato dal cpr di Bari al centro di Gjader in Albania e infine in carcere a Torino. Per poi suicidarsi in cella appena prima dell’udienza di convalida. Nondimeno, i governi firmatari vogliono che sia data precedenza al contrasto all’immigrazione e al rimpatrio di chi si ritiene di dover espellere. La Corte europea è pregata di prendere nota.

Sempre che lo si voglia considerare, c’è un però e non di poco conto. La Corte EDU opera per garantire che gli Stati rispettino i diritti fondamentali dei quali si sono volontariamente impegnati a farsi garanti. La sua autonomia è fondamentale per poter vagliare l’operato degli Stati, spesso in casi che riguardano proprio i diritti degli individui più vulnerabili. Mettere sotto pressione la Corte manifestando aperta insofferenza verso l’ordinamento giuridico di tutela dei diritti fondamentali, è stato detto più volte in un dibattito che non nasce oggi, rischia di minarne l’indipendenza e di indebolire il sistema di protezione dei diritti umani in Europa. In altre parole, l’idea che “ciò che un tempo era giusto potrebbe non essere la risposta di domani”, come hanno scritto Meloni e Frederiksen, se applicata ai diritti universali espone a un rischio elevato perché si tratta di diritti spettanti a tutti gli esseri umani indipendentemente dalla loro condizione. Diritti che appartengono alla storia recente, conquistati a fatica in una parte circoscritta del mondo.

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