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Emanuela Orlandi, il fratello Pietro: “Sento che è viva o ci avrebbero fatto ritrovare i resti. Wojtyla è stato un depistatore e Papa Francesco poco coraggioso”

Nell’ultima puntata del podcast “Un altro pianeta” Pietro Orlandi ricostruisce a Hoara Borselli la vicenda di sua sorella Emanuela

di Alessandra De Vita
Emanuela Orlandi, il fratello Pietro: “Sento che è viva o ci avrebbero fatto ritrovare i resti. Wojtyla è stato un depistatore e Papa Francesco poco coraggioso”

“Vivevamo in Vaticano, è un altro Mondo. Vivevamo sotto questa cupola, protetti, nell’unico Stato al Mondo circondato da mura. Non puoi capire il Vaticano se non lo vivi da dentro”: Pietro Orlandi parte dal posto in cui è nato e cresciuto per spiegare a Hoara Borselli la vicenda di sua sorella Emanuela (la cittadina vaticana misteriosamente scomparsa il 22 giugno del 1983) nell’ultima puntata del podcast “Un altro pianeta”. “La mia famiglia è lì dentro dagli anni ’20, quando mio nonno iniziò a occuparsi dei cavalli. Noi eravamo persone ingenue perché vivevamo in questa favola, non poteva succedere nulla di male per noi lì dentro. Quando è scomparsa Emanuela siamo piombati dentro un incubo. Come tutte le famiglie che vivono questa situazione, portiamo avanti una serenità apparente. Ci siamo sentiti abbandonati, traditi, hanno voltato le spalle alla mia famiglia e come disse mio padre prima di morire: Sono strato tradito da chi ho servito. Al suo funerale, non è venuto nessuno”. Ercole Orlandi, il padre di Emanuela, lo ricordiamo, è nato in Vaticano e ha lavorato come messo papale per Giovanni Paolo II.

Il padre di Emanuela è scomparso nel 2004, dopo aver cercato con tutte le sue forze di scoprire cosa fosse accaduto a sua figlia. “Lui era un vaticanista convinto”, spiega Pietro “E quella frase fu la prova che il Vaticano c’entra qualcosa. Loro sono stati primi a parlare di sequestro, era scritto nel bollettino del primo appello del Papa durante l’Angelus del luglio del 1983. Già sapevano qualcosa in più di noi all’epoca“. Pietro ripercorre gli anni in Vaticano insieme alla sua famiglia: i genitori Ercole e Maria Pezzano e le quattro sorelle, Natalina, Federica, Emanuela e Cristina. “Eravamo pochissime famiglie e non tutte avevano la cittadinanza”. Pietro ricorda in particolar modo, per via della sua età, il pontificato di Wojtyla. “Era un Papa con un indirizzo politico ben preciso. Il presidente americano Ronald Reagan era di casa in Vaticano (erano gli anni della Guerra Fredda, ndr)”.

“Nel corso degli anni – spiega Orlandi – ho capito che in Vaticano potrebbero aver usato la storia di Emanuela nel contesto della Guerra Fredda pur conoscendo la verità (se regge da 42 anni è perché già non poteva uscire). Dopo quello che può essere stato il primo grande depistaggio, lo scambio con l’attentatore del Papa Alì Agca, il pensiero comune è diventato che le stesse persone che avevano attentato alla vita del papa due anni prima (l’Unione Sovietica che ha agito tramite la Bulgaria) non erano riuscite nell’intento e hanno rapito una cittadina vaticana per ricattare il Papa: così Giovanni Paolo II è diventato la vittima. Lui dopo averci detto che era un caso di terrorismo internazionale, nel giorno di Natale di quello stesso anno, non ha mai più speso una parola su Emanuela. Wojtyla era il mio punto di riferimento ed era la persona più potente al mondo”.

A Pietro Orlandi la Borselli ha chiesto come reagisce agli attacchi ricevuti negli anni: “C’è chi arrivato a dire che l’ho uccisa io e che vado avanti per la visibilità, so che dovrei fregarmene ma queste cose mi fanno male. Un giornalista è arrivato a scrivermi: tu sei lo stupratore del cadavere di tua sorella, la cosa più brutta che potessero dirmi. Non faccio tutto questo per piacere ma perché devo. Se ci sono tre inchieste aperte dopo 42 anni è perché abbiamo tenuto alta l’attenzione e non è solo per la scomparsa di Emanuela che è già di per sé grave ma per tutto quello che c’è dietro. Non avrei mai pensato che dopo 42 anni se ne sarebbe pensato come se fosse un fatto di cronaca recente. Sono stato riempito di fango per aver toccato Giovanni Paolo II, mi hanno attribuito falsità che non ho mai detto su di lui. Qualcuno mi dice che ne ho fatto un lavoro, magari per qualcuno lo è diventato ed è giusto ma non per me, ho sempre rifiutato qualsiasi forma di compenso. Non ho mai preso soldi sia quando vado in tv né quando giro l’Italia per incontri, preferisco rimetterci. Il compenso è la possibilità di parlare di Emanuela. In anni di vuoto mediatico ho girato l’Europa per monasteri a cercarla, alcuni assurdi, in cima a promontori dove ci si arriva soltanto a piedi”.

Su quale potrebbe essere stata la sorte di sua sorella, Pietro risponde: “Io dentro me sento che è viva ma potrebbe essere la speranza di un fratello. Però non è mai stato trovato nulla. Per chiudere questa storia avrebbero potuto far trovare i resti e avremmo continuato noi a cercare i responsabili. Invece non c’è mai stata questa possibilità”. Dopo aver ripercorso tutta la vicenda, Pietro Orlandi dice in merito al neoeletto Papa, il cardinale Robert Prevost: “È dura pensare al quarto Papa, non avrei mai pensato quel 22 giugno che avrei dovuto aspettare quattro papi per conoscere la verità. Da Leone XIV mi aspetto quello che mi aspettavo da chi l’ha preceduto e che non ha fatto. Mi aspetto che abbia più coraggio e che il suo pontificato si basi sulla giustizia. Rispetto a questa storia, penso che Wojtyla sia stato un depistatore e Papa Francesco poco coraggioso”.

Sulla vicenda del blogger indagato dalla Procura di Roma, dice invece: “L’ho bannato da tempo, insinuava sulla famiglia inventando cose e infangando Emanuela”. “La mia più grande paura – confessa Pietro Orlandi – è arrivare alla fine della mia vita senza sapere cosa è successo a Emanuela. Mi accorgo che sono trascorsi 42 anni quando mi vedo allo specchio. Mi chiedo se Emanuela potrebbe riconoscermi con i capelli bianchi, quando è scomparsa li avevo neri come la pece. Me li tingevo neri fino a qualche anno fa per fermare il tempo e perché lei avrebbe potuto riconoscermi se fosse tornata”. E afferma fermamente Orlandi: “C’è qualcuno in Vaticano che ha in mano le prove e che ancora tiene per la corda qualcuno all’interno. Prima o poi verrà fuori, ci sono sempre delle lotte intestine in Vaticano, magari un giorno quel qualcuno tira tutto fuori”.

E infine, sul lavoro portato avanti dalla commissione bicamerale di inchiesta che indaga sul mistero della scomparsa di Emanuela:Spero convochino il Cardinale Giovanni Battista Re, sono convinto che lui sia a conoscenza di quanto accaduto. Ascolterei di nuovo anche il procuratore Giancarlo Capaldo perché quello che mi ha detto non corrisponde a quanto ha detto pubblicamente: a lui i gendarmi del Vaticano hanno ammesso di essere a conoscenza di tutto”.

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