Cucina

“In cucina mi hanno massacrato, tutto il tempo mi urlavano ‘italiano di merd*’. Ho capito che quel clima non lo avrei più voluto”: parla Riccardo Monco

Lo chef e socio dell'enoteca Pinchiorri, tristellato notissimo di Firenze, si è raccontato in una lunga intervista al Corriere della Sera: "(...) era la mentalità di 40 anni fa. Si lavorava 18 ore al giorno, gli chef abbaiavano. Era bullismo, se non altro legato solo alla sfera professionale: il sistema funzionava così"

di F. Q.
“In cucina mi hanno massacrato, tutto il tempo mi urlavano ‘italiano di merd*’. Ho capito che quel clima non lo avrei più voluto”: parla Riccardo Monco

Feci il colloquio al telefono con Carlo Cracco, all’epoca primo chef (…). Lavoravo a Parigi nel tre stelle di Alain Senderens: gli bastò questo per prendermi. Arrivai il 25 gennaio: prima vidi Carlo, poi Giorgio (Pinchiorri, ndr) e Annie (Féolde, ndr)”: a parlare del suo ingresso all’Enoteca Pinchiorri, di cui oggi è chef e socio, è Riccardo Monco. Stiamo parlando di un ristorante tristellato fiorentino tra i più longevi e apprezzati del mondo, con una cantina da 80mila bottiglie. Dal rapporto con Féolde, “la prima a cucinare in Enoteca dopo aver fatto vari stage in Francia”, alla scelta di diventare un cuoco: “Di base c’era una grande attitudine a non studiare. I miei genitori — mamma sarda, papà veneto: sono il vero milanese degli anni Settanta — mi mandarono all’alberghiero. Vivevamo a Cesano Boscone e nei weekend, a 14 anni, andavo in bicicletta a Buccinasco a lavorare nella trattoria “Da Cecchino”. Un posto verace in cui tutto era fresco ed espresso. Mi piacque subito: mi ricordava i pranzi di famiglia da mia nonna, in Sardegna. A 17 anni, dopo il diploma, feci una stagione in un albergo termale a Chianciano: 500 coperti a servizio, un incubo. Da lì sono cresciuto senza mai mandare un curriculum. Sulla mia strada ho sempre trovato persone che mi hanno voluto (e indirizzato) bene”.

Gli inizi, con Pietro Leeman che lo indirizza verso la Francia e lì l’ingresso nella brigata Lucas Canton: “Mi hanno massacrato: mi urlavano tutto il tempo ‘italiano di me***’. Ma succedeva anche ai francesi: era la mentalità di 40 anni fa. Si lavorava 18 ore al giorno, gli chef abbaiavano. Era bullismo, se non altro legato solo alla sfera professionale: il sistema funzionava così, non ce l’avevano con la persona. Quell’esperienza mi ha cambiato la vita: mi ha insegnato a focalizzare le cose importanti da fare nell’arco della giornata. E a capire che io quel clima non lo avrei mai più voluto”. E allora, racconta Monco, ha cercato di “creare un ambiente dove non vigesse il terrore, ma la serenità: se stanno bene, ti danno il doppio senza che tu glielo chieda. Se hanno paura di sbagliare ti danno la metà. Anche per questo abbiamo ridotto i coperti e i servizi: oggi siamo aperti cinque giorni a settimana, solo a cena”.

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