Fiorentina, non puoi perdere la finale se non ci arrivi: tutta l’amarezza viola per una squadra che si è afflosciata

Dopo Praga e Atene, almeno ci hanno evitato Breslavia. La terza finale persa per il terzo anno consecutivo sarebbe stato francamente troppo, contro l’insormontabile Chelsea. Avrebbe fatto troppo male. A una città e a una tifoseria che, nonostante la triste immagine della curva Fiesole ancora vuota per lavori, anche giovedì sera ha riempito lo stadio Franchi. Cantando dall’inizio alla fine. Dal primo al centoventesimo minuto. E quindi l’unica nota positiva di una serata tosta viene da un meme dell’account Instagram Suffering Fiorentina (il nome è tutto un programma): “Non puoi perdere una finale se non ci arrivi nemmeno”. E così sia. Fine della voce “amara consolazione”.
Poi però c’è stata la partita della Fiorentina col Betis. Squadra con qualche campione sulla via del tramonto (ma come gioca Isco?) e qualche grande promessa che deve ritrovarsi (Antony), ma dalla tecnica sopraffina e guidata dal vincente Manuel Pellegrini. Gli andalusi erano più forti di una Viola arrivata spompata al termine della stagione. Non c’è dubbio. Ma non sempre le squadre più forti vincono. La partita del Meazza di martedì ce lo ha insegnato. Ha vinto l’Inter (più debole), ha perso il Barça (più forte). Giovedì sera, al Franchi, c’erano tutte le condizioni per ribaltare il 2 a 1 del Villamarin. E invece in finale di Conference ci va il Betis Siviglia e non la Fiorentina.
Perché? Perché la Fiorentina, con le dovute proporzioni, non ha un Frattesi, non ha un Acerbi, soprattutto non ha Simone Inzaghi. In dieci minuti, alla fine del primo tempo, la Viola aveva ribaltato lo 0 a 1 di Antony (che punizione!). Doppietta di Robin Gosens. Era spinta dalla gente e dai nervi. E invece, col passare dei minuti, si è afflosciata. Non ha creato più nulla, ha dovuto difendere. Non ha azzannato la partita, ha dovuto subirla. Ci ha salvato David De Gea, ancora una volta. Le solite due-tre parate miracolose. L’unico grande campione di questa squadra. Ma non è bastato.
Perché quando si abbassano i ritmi, passano i minuti, la squadra è stanca e si gioca sul filo dei nervi, serve una mossa decisiva. Serve l’allenatore. E Raffaele Palladino i cambi non solo non li ha azzeccati ma li ha totalmente sbagliati. Richardson (non parliamo di Folorunsho) non ha fatto Frattesi. Zaniolo, Colpani, Beltran non hanno copiato Taremi. Serviva “garra”, gamba e un lampo. Hanno portato errori, noia e fischi. “Mi aspettavo di più dai cambi”, ha detto Palladino a fine partita. Da salvare restano Gosens (doppietta, di testa), Dodo, Fagioli e Kean. Poco altro.
Il resto lo fa il solito errore individuale, difensivo. Un lancio al 98esimo. Primo tempo supplementare. Quando dovresti stare attento a tutto. Un rinvio del portiere andaluso con la squadra schierata malissimo: tre difensori viola a marcare tre attaccanti del Betis, con il primo centrocampista a 30 metri di distanza. Senza aggredire, né scappare indietro. Comuzzo, Ranieri e Pongracic infilzati, con due passaggi. Un errore grosso che condanna la Fiorentina. La partita è finita lì, è finito il sogno della terza finale europea consecutiva.
Ora a Firenze è il tempo dello sconforto, delle telefonate nelle radio fiorentine contro il rinnovo di Palladino, contro “Rocco” (Commisso) che ancora una volta ci fa vincere l’anno prossimo e forse non ci porta nemmeno in Europa (“L’anno prossimo si va al cinema di giovedì”, si diceva ieri sera fuori dallo stadio). Tutti commenti troppo a caldo, tutte sentenze irrazionali. Del giorno dopo. Ci sarà tempo per riprendersi. Oggi pensiamo che “non puoi perdere una finale se non ci arrivi”. Domani che quella finale ce la prenderemo prima o poi. Vincendola, se possibile.