Italia cimitero delle specie protette, l’assurda storia degli ibis eremita: estinti, reintrodotti dall’Ue e impallinati dai bracconieri

Che ci fa uno stormo di grossi uccelli dai riflessi bronzei in formazione dietro a un deltaplano a motore? Non è lì per caso, né perché si tratti di una specie più curiosa delle altre. La persona alla guida del velivolo è partita dall’Austria; in un primo momento ha insegnato a questi uccelli dalla testa pelata e il becco arcuato a fidarsi di lei, poi a seguirla per centinaia di chilometri nel sud della Toscana. O ancora più in là: Andalusia. È la storia meravigliosa che riguarda l’ibis eremita. Specie un tempo presente in Europa e presto minacciata dall’attività venatoria – tanto che nel 1504 l’arcivescovo di Salisburgo ne proibì l’uccisione (fatta salva quella per meno dei nobili) – e scomparsa un secolo dopo a causa della pressione dell’uomo: caccia e riduzione dell’habitat d’elezione. Per decenni l’ibis eremita è stato una sorta di unicorno. Oggi, dopo sforzi durati più di 20 anni, è stato reintrodotto grazie al progetto europeo LIFE Northern Bald Ibis & Waldrappteam Conservation and Research. Ma è considerato ad alto rischio estinzione. La ragione? Quando vola lungo la nostra Penisola, viene impallinato da cacciatori e bracconieri.
L’ultimo clamoroso caso riguarda un maschio, al quale è stato nome il nome di Puck, nato in natura nel 2021. Come i suoi simili ha lasciato il sito di nidificazione di Kuchl, nel Salisburghese, per raggiungere l’Oasi Wwf Laguna di Orbetello. Ma durante una sosta lungo gli Appennini, mentre si stava alimentando sul tetto di una fattoria, è stato colpito e ucciso. Dopodiché il corpo è stato portato via in auto e abbandonato per occultare il crimine. Storia finita? Nient’affatto. Sfortunatamente per l’autore del reato, circa il 90% degli ibis eremita è dotato di Gps: una scatolina di pochi grammi posta sulla schiena dell’animale. Così i carabinieri forestali di Forlì-Cesena hanno individuato l’uomo, gli hanno sequestrato il fucile e ritirato la licenza di porto d’armi. Di chi si trattava? Di un cacciatore, membro di una nota associazione venatoria italiana. È importante specificare questo passaggio perché proprio quest’anno la Fidc (Federazione italiana della caccia) ha diffuso un comunicato per dire che l’associazione – e i suoi soci – sono dalla parte della conservazione degli ibis eremita e che, per di più, sono loro stessi vittime dei bracconieri. La verità però, come dimostra il caso di Puck, è che non esistono bracconieri tout court (o se esistono, si contano sulle dita di una mano): chi compie atti di bracconaggio è cacciatore (il che naturalmente non significa che chi è cacciatore è bracconiere. Sembra incredibile, ma talvolta giova puntualizzarlo).
Ma sono anche altri dati che lo certificano; il 90% dei casi di uccisione illegale di questi uccelli avviene a stagione venatoria aperta. Solo nella passata stagione (2024/2025) in Italia sono stati uccisi dieci ibis eremita. Un numero consistente, se si tiene in considerazione che il progetto LIFE ne conta poco meno di 300, e quelli che solcano i cieli del nostro Paese si aggirano tra i 230 e i 250. Dal 2006 gli esemplari impallinati sono stati 70. Ed ecco perché la specie è ad alto rischio estinzione. “Per oltre 20 anni abbiamo lottato contro queste insensate uccisioni in Italia – ha detto Johannes Fritz, responsabile del progetto – il caso di Puck offre una speranza, perché dimostra come la tecnologia avanzata possa aiutare a combattere i crimini contro la fauna selvatica. Man mano che andiamo avanti, soluzioni innovative come queste saranno fondamentali per proteggere le specie in via d’estinzione”.
Ma perché la storia degli ibis eremita è così importante? “Si tratta di un unicum nella storia delle reintroduzioni di animali in natura – spiega la biologa Laura Stefani, referente italiana del progetto LIFE – perché nel nostro caso siamo partiti da zero, dato che questa specie, in Europa, si era estinta. Dagli inizi, 20 anni fa, quando i primi esemplari sono stati prelevati dagli zoo e allevati, ora abbiamo generazioni di ibis eremita completamente selvatici“. Ma c’è dell’altro. “Stiamo affinando conoscenze e tecniche all’avanguardia – continua Stefani – che serviranno, in futuro, per altre specie. Coi ritmi devastanti di estinzione delle specie a cui stiamo assistendo in questi anni, il nostro lavoro di conservazione si rivelerà fondamentale”. Con una certezza che fa da sfondo, quando si parla di tutela della biodiversità. E cioè che se è vero che vanno trovate misure di mitigazione e adattamento alla crisi climatica, preservare la biodiversità è condizione necessaria – e da un certo punto di vista sufficiente – per raggiungere tali obiettivi.
E qui entra in scena il deltaplano a motore. I ricercatori e le ricercatrici sono stati costretti a insegnare – e ancora lo fanno – agli ibis eremita, che sono uccelli migratori, a migrare. Da quando hanno costituito il nucleo originario di esemplari al primo volo sono passati ben 12 anni. Dodici anni fatti di studi, ricerche, prove, tentativi più circoscritti e infine tragitti più lunghi. Come detto, la prima rotta è stata verso l’Italia e, in un secondo momento, verso la Spagna. “A causa del riscaldamento globale – spiega Stefani – gli uccelli lasciavano i siti di riproduzione al Nord più tardi, ad autunno inoltrato. E quando dovevano valicare le Alpi, trovavano neve e condizioni più estreme e, spesso, morivano. Così abbiamo insegnato loro la strada per l’Andalusia“. I siti di riproduzione sono quattro: quello già citato di Kuchl, quello di Überlingen, sul lago di Costanza, in Germania, quello di Burghausen, in Baviera, e quello di Rosegg, in Carinzia. In Andalusia, peraltro, esiste un progetto parallelo, che conta circa 260 esemplari. In tutta Europa, in pratica, ci sono pressappoco 550 ibis eremita. Che si aggiungono ai circa 710 del Marocco (in Turchia sono morti tutti, sono presenti solo negli zoo). Fine. Ecco tutta la popolazione mondiale di questo uccello, sentinella della tutela della biodiversità.
“In Italia è sempre complicato fare conservazione – dice Stefani, che si occupa anche di relazioni pubbliche e istituzionali nella campagna antibracconaggio – perché spesso le leggi non permettono una protezione adeguata. In questo periodo stiamo organizzando un convegno alla Camera con Wwf, Lipu e Lav sul recepimento della direttiva europea sulla tutela penale dell’ambiente. L’avvocato Domenico Aiello del Wwf ha preparato un vademecum per un corretto recepimento della direttiva che verrà presentato alle istituzioni. Vorremmo che questo strumento venisse adottato dal Legislatore, e che ci aiutasse nel nostro lavoro. Vanno infatti riviste le fattispecie di reato, le aggravanti, e serve punire adeguatamente che compie reati contro la fauna selvatica che gode di particolare protezione. Tutto questo servirebbe come deterrente“. Secondo Stefani, inoltre, il monitoraggio dell’ibis eremita attraverso il Gps è un indicatore piuttosto affidabile di ciò che accade anche alle altre specie di volatili: “Dal nostro osservatorio abbiamo uno spaccato dei pericoli a cui vanno incontro anche gli altri uccelli. E dato che gli ibis sono distribuiti su quasi tutto il territorio italiano, possiamo dire che abbiamo una fotografia che rispecchia i dati di mortalità anche di altre specie, delle quali però non si viene a sapere nulla poiché non monitorate”. Anche per questo l’ibis eremita, oltreché essere tornato nei nostri cieli dopo, di fatto, l’estinzione, è considerato una sentinella.