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“La Gen Z è una generazione fantasma che ha paura del rifiuto”: lo studio che fa tremare i giovani nati tra la fine degli Anni 90 e i primi del Duemila

L'autore e influencer Christian Hodges a Fox News Digital: "Ormai ci si crede tutti vincitori, questo è un problema"

di F. Q.
“La Gen Z è una generazione fantasma che ha paura del rifiuto”: lo studio che fa tremare i giovani nati tra la fine degli Anni 90 e i primi del Duemila

La Generazione Z sta costruendo la propria identità attorno a una parola sola: rifiuto. Dai match fantasma sulle app di incontri alle email mai arrivate dopo un colloquio, passando per l’accesso all’università che sembra un privilegio sempre più distante. I nati tra la fine degli Anni 90 e l’inizio dei 2000 si trovano a sbattere contro porte chiuse in ogni ambito della vita.

L’autrice Delia Cai, in un articolo per Business Insider, ha scritto: “Dall’istruzione alla carriera, fino all’amore, mai prima d’ora i giovani adulti hanno avuto così tanta possibilità di dire sì. E, di conseguenza, mai prima d’ora ai giovani adulti è stato detto di no così spesso”.

Il caso di Em, un giovane intervistato dalla Cai, fotografa questa frustrazione: centinaia di candidature ignorate, pochi soldi e un lavoro precario. “Non vale la pena di essere vissuta al momento”, ha detto parlando della propria vita.

Un sentimento che fa eco anche tra i corridoi delle università, come quello di Dylan, 22 anni, con una media del 4,7 e un profilo scolastico impeccabile, respinto da gran parte degli atenei a cui aveva fatto domanda. “Ricordo solo di aver pensato che non erano necessariamente le nostre qualifiche a contare, ma che speravo solo che la persona giusta lo leggesse nel giorno giusto”, ha confessato.

Per l’influencer Christian Hodges, il problema è anche culturale. “Dai campionati ricreativi per bambini al sistema di valutazione ‘Nessun bambino lasciato indietro’, la Generazione Z è stata socialmente indotta a credere che tutti siano vincitori”, ha detto a Fox News Digital. Ma la realtà, fuori dai social e dentro la vita vera, racconta un’altra storia: quella di una generazione che ha imparato troppo tardi cosa significa sentirsi dire “no”.

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