“Non ricordo quasi nulla del caso di Emanuela, anche perché le donne all’epoca non erano molto considerate nella polizia, per cui tante cose non le venivano a dire a me”: queste le parole di Maria Vozzi davanti alla commissione parlamentare di inchiesta che indaga sulle misteriose scomparse di Mirella Gregori ed Emanuela Orlandi. La Vozzi, oggi 83enne e in pensione, all’epoca dei fatti era nella Squadra Mobile di Roma guidata da Nicola Cavaliere, il capo della sezione Omicidi ascoltato la scorsa settimana.
Il ricordo della Vozzi
Ricordando i mesi successivi alla scomparsa della cittadina vaticana, ha dichiarato la Vozzi ieri nel corso di una seduta durata circa un’ora: “Erano i primissimi tempi di attuazione della riforma della polizia varata nel 1981, che aveva ridisegnato e ammodernato la pubblica sicurezza in Italia, ma evidentemente i nuovi principi non erano ancora assimilati nella pratica quotidiana. Non ricordando bene tutto, non saprei cosa dire. Può essere che è rimasta vittima di qualche mascalzone come succede purtroppo tuttora. Rapita, strangolata, qualsiasi cosa. Tutto quello che può capitare anche oggi giorno a qualche ragazzina, ad una persona che si fida di una persona magari conosciuta la sera prima”. L’ex agente, entrata in polizia nel 1968 dopo venti anni, nel 1987 entrò nel Sismi, i Servizi Segreti Militari dove ha poi concluso la sua brillante carriera. “Se posso esservi di aiuto – ha aggiunto – benvolentieri, ma sono passati una quarantina di anni e non è che ricordi tanto, abbiamo fatto delle indagini ma i risultati sono stati quasi nulli”.
La missione in Calabria
Tra i pochissimi ricordi ancora nitidi della Vozzi, c’è una trasferta in provincia di Reggio Calabria con Cavaliere il 10 luglio 1983 per raccogliere la testimonianza un’amica di Emanuela Orlandi, Daniela Marzari. “Ricordo il viaggio in auto, siamo andati e tornati in un giorno, è stato un viaggio piuttosto duro – ha detto Maria Vozzi nel suo intervento a Palazzo San Macuto – Siamo partiti e tornati, abbiamo sentito un’amica sua. Ma non servì molto all’indagine. Io sono stata interessata in quanto era proprio una ragazza, qualcuno l’aveva indicata, ma come fosse uscita fuori dalle indagini come testimone non lo so. Non ricordo se le abbiamo fatto ascoltare la registrazione (della cassetta “delle torture” ritrovata da un cronista dell’Ansa, ndr) per chiederle se effettivamente le sembrava la voce di Emanuela. Sicuramente, però, ricordo di non aver avuto la sensazione che si sia trattato di un incontro utile alle indagini”, ha aggiunto.
Gli appelli del Papa
Alla poliziotta oggi in pensione è stato chiesto infine il suo parere sul ruolo nella vicenda di papa Giovanni Paolo II e sul perché dei tanti appelli per la ragazza scomparsa, otto in un anno: “Potrebbe averlo fatto perché si tratta di una situazione che ha destato molto stupore, all’epoca non era tanto comune – ha concluso – forse anche il Papa si è sentito in dovere”.