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Quando Von Der Leyen parla di ‘pace attraverso la forza’ a me non viene certo in mente Spinelli

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di Monica Valendino

L’Europa, un tempo culla della diplomazia e del dialogo, sembra oggi scivolare verso un’interpretazione della pace che ricorda slogan del passato, intrisi di forza e autorità piuttosto che di cooperazione. Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Europea, ha recentemente adottato il motto “pace attraverso la forza” per descrivere la sua visione di un’Unione Europea più assertiva, militarmente coesa e pronta a rispondere alle sfide globali. Ma questo slogan, apparentemente pragmatico, porta con sé un’eco inquietante.

Mussolini, con il suo celebre “credere, obbedire, combattere”, elevava la forza a virtù suprema, dipingendo la pace come il frutto della supremazia militare e della disciplina autoritaria. Similmente, Hitler propagandava la “pace” del Reich come un traguardo raggiungibile solo attraverso la conquista e la sottomissione dei più deboli, con frasi come “la forza precede il diritto”. Entrambi condividevano l’idea che la pace non fosse un negoziato tra pari, ma un’imposizione del più forte.

Oggi, il “pace attraverso la forza” di Von der Leyen sembra ricalcare questa logica: un’Europa che si arma, che investe in difesa e che si prepara a “rispondere” piuttosto che a prevenire, rischia di allontanarsi dai suoi principi fondativi di dialogo e multilateralismo.

A questa deriva si affianca il ricordo delle parole di Mario Draghi, ex presidente del Consiglio italiano ed ex governatore della Bce, che nel 2022 pose agli europei una domanda retorica: “Preferite i condizionatori o la pace?”. Un quesito che nascondeva un ultimatum: sacrificare il benessere individuale in nome di un obiettivo superiore deciso dall’alto. Questa retorica del sacrificio, tipica dei regimi autoritari, sembra oggi permeare il discorso politico europeo, dove la voce dei cittadini viene soffocata da decisioni prese in nome di una presunta “pace” che richiede sempre più controllo, meno dissenso e una crescente militarizzazione.

L’Europa sta cambiando pelle. I trattati che la fondarono – da Roma a Maastricht – erano impregnati di un ideale di cooperazione, di risoluzione pacifica dei conflitti e di rispetto per la sovranità dei popoli. Oggi, invece, assistiamo a un’Unione che flirta con un autoritarismo strisciante: sanzioni imposte senza dibattito, narrative ufficiali che tollerano poco il dissenso, una corsa agli armamenti giustificata dalla necessità di “difendere la pace”. La diplomazia, un tempo fiore all’occhiello dell’Ue, lascia il posto a una postura muscolare che ricorda più i regimi del Novecento che il sogno di Altiero Spinelli.

Von der Leyen, con il suo “pace attraverso la forza”, non è sola in questo slittamento. La complicità di leader come Draghi, che hanno normalizzato il sacrificio dei cittadini come prezzo per una stabilità imposta, segnala un’Europa che dimentica le sue radici. La domanda da porsi è semplice: questa pace, ottenuta con la forza e il controllo, è davvero la pace che l’Europa vuole? O è piuttosto il preludio a un futuro in cui il dialogo sarà solo un ricordo, schiacciato dal peso delle armi e delle imposizioni?

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