Le cucine dei grandi ristoranti non sono oasi felici. Le donne chef britanniche, 70 per l’esattezza, hanno preso carta e penna per sottoscrivere una lettera aperta indirizzata a “tutti coloro che beneficiano del piacere di cenare fuori” affinché siano consapevoli del fatto che non è tutto oro quello che luccica e che il “sessismo” nel settore dell’ospitalità non può e non deve più esistere. Una risposta netta ed accorata nei confronti del maestro dei fornelli stellato, Jason Atherton, che poco prima aveva serenamente dichiarato il contrario sulle pagine del Times. “Non ho mai avuto l’occasione di testimoniare episodi di sessismo nel settore” aveva confessato lo chef generando immediatamente reazioni piuttosto accese sui social e non solo.
Una leva che poi si è rivelata forte per le donne che operano e cercano la perfezione in cucina, confrontandosi con i colleghi maschi e con le sfide di un settore sempre più competitivo quanto tossico. Ma il duello dovrebbe presentarsi solo nei termini della ricerca della perfezione e del gusto, non per proteggersi da “commenti inappropriati e comportamenti censurabili”.
Non solo, secondo quando condiviso dalle chef e dalle donne che operano nel settore dell’ospitalità che hanno sottoscritto la lettera pubblicata sul Telegraph (altre invece hanno chiesto di restare anonime per paura di perdere il lavoro), le considerazioni di Jason Atherton vanno sonoramente respinte come non veritiere perché non riflettono il reale stato in cui versa l’ambiente, il dietro le quinte “di chi si gode della belle serate a cena fuori”. Dara Klein, Sally Abè e Poppy O’Toole, Candice Brown sono tra coloro che si sono dichiarate oltremodo “stanche di un settore così imperfetto ed ingiusto nel quale faticano a trovare un posto”.
Vedersi poi negare l’evidenza dalle dichiarazioni di un uomo che ha minimizzato, se non addirittura derubricato lo status quo, asserendo di non essersi mai trovato a testimoniare situazioni di disagio per le donne in cucina e nel mondo della ristorazione, ha fatto il resto. Di più, forse è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso dando alle 70 firmatarie il coraggio di uscire allo scoperto sollevando una questione che finora era sempre rimasta sotto traccia, almeno nel Regno Unito. “Bisogna cambiare la narrativa” e smetterla con questa “cultura della paura” hanno chiesto le chef, “non si può continuare a negare la verità” che si consuma nei ristoranti britannici.
Ma soprattutto, “non si può continuare ad impedire anche al nostro talento di esprimersi”; magari, come ha raccontato Poppy O’Toole, perchè ti viene negato di lavorare in una cucina per non correre il rischio, un giorno, “di dover pagare la maternità”. Sì, perché oltre all’aspetto legato alla tossicità dell’ambiente di lavoro nel quale molte donne sono costrette a vivere, è stato sollevato anche un problema di opportunità legato alla carriera e al riconoscimento del valore delle donne del mondo dell’ospitalità. “Non esiste una sufficiente inclusività di genere nei premi”, come quelli riconosciuti da Michelin e dal 50 Best. Secondo le firmatarie della lettera di denuncia, infatti, le categorie dei più prestigiosi riconoscimenti dedicati agli chef, escluderebbero categoricamente le donne, ricordando che sono state solo due quelle premiate negli ultimi quattro anni. Una distonia rispetto alle vere capacità delle chef che spesso sarebbero relegate a categorie separate. Un modo forse per dire che non possono competere direttamente con i concorrenti di genere maschile?