Trump taglia gli aiuti all’Africa? Piagnucolare è peggio. Un’intervista lo ha detto chiaro e forte

Célestin Monga è un noto accademico camerunese professore di economia all’Università di Harvard nel Massachusetts, Stati Uniti. Ex vicepresidente della Banca africana di sviluppo e consulente economico della Banca mondiale. Quindi per capirci non è il primo che passa per strada e dice la sua. In una recente intervista al quotidiano francese Le Monde ha detto chiaro e forte ai suoi concittadini (e non solo) che “piagnucolare per gli aiuti non è una strategia di sviluppo per l’Africa”.
Certo, la recente sospensione degli aiuti di Stato statunitensi, in Africa è brutale e traumatica per milioni di africani le cui vite dipendono dalle medicine finanziate dall’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (Usaid, agenzia istituita da John F. Kennedy nel 1961), per i bambini che frequentano la scuola solo attraverso questi sussidi, o per le donne la cui causa è sostenuta dalle ong con fondi americani.
Ma a conti fatti nel 2023, gli aiuti dagli Stati Uniti all’Africa ammontavano a meno di 20 miliardi di dollari e quelli complessivi da tutti gli altri paesi sono stati poco meno di 60 miliardi di dollari. Considerando che il continente africano ha 1,4 miliardi di abitanti, questi importi sono infimi.
Célestin Monga spiega che l’Africa genera 610 miliardi di dollari all’anno dalle esportazioni ma la maggior parte di questa somma non rimane nel continente. Il problema è dove va a finire questo denaro? In teoria, quei soldi dovrebbero rimanere in Africa per finanziare lo sviluppo locale, costruire infrastrutture, migliorare sanità ed istruzione e creare posti di lavoro. In pratica, però, una bella fetta di quei 610 miliardi di dollari non resterebbe in Africa.
“Il cosiddetto aiuto allo sviluppo ufficiale -racconta Célestin Monga – non è nulla in confronto ai flussi finanziari generati in Africa. Dovremmo cercare i colpevoli nelle élite africane che, sessantacinque anni dopo l’indipendenza, subappaltano le loro responsabilità a governi stranieri. È così che si promuove un’industria di miseria e di carità. A scapito delle istituzioni internazionali, i paesi africani offrono pochissime strategie di trasformazione credibili, e quindi pochissimi programmi che possono attrarre finanziamenti. Trovano semplicemente denaro per pagare i dipendenti pubblici e i militari ogni mese, e non stanno sviluppando l’economia che amplierebbe la base imponibile, genererebbe entrate di bilancio e si libererebbe da questa dittatura esotica della pietà imposta da Washington”.
Che tutta questa attenzione su cosa farà o non farà in futuro il Presidente Cowboy2.0 degli “aiuti” per l’Africa sia forse una distrazione da ben altri flussi?
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