Dopo la decisione di giudici della Corte d’Appello di Roma che li ha liberati dai centri in Albania, sabato sera i 43 richiedenti asilo egiziani e bangladesi sono arrivati al Cara di Bari. Lì hanno incontrato il deputato del Pd Marco Lacarra e altri rappresentanti istituzionali, ai quali hanno raccontato la loro esperienza in Libia, da dove erano partiti, compreso l’incontro con Najeem Osema Almasri, il capo della polizia giudiziaria libica ricercato dall’Aja per crimini di guerra e contro l’umanità, arrestato a Torino il 19 gennaio scorso, rilasciato e accompagnato a casa con un volo di Stato per volere del governo. Lacarra ha mostrato loro una foto, e nessuno ha avuto dubbi. “Usama“, hanno detto i migranti riconoscendo il carceriere. Molti hanno confermato di averlo visto operare nel “cimitero”, come chiamano il centro di detenzione di “Bir Lel Gama“, alle porte di Tripoli, dove uomini, donne e bambini venivano maltrattati e costretti a subire violenze già denunciate nel mandato della Corte penale internazionale.
A comandare in quel centro di detenzione, hanno raccontato i migranti trasferiti a Bari, è il generale liberato dall’Italia nonostante le pesanti accuse contenute anche nel mandato della Corte penale internazionale. Accuse che i migranti confermano, parlando di torture come pratica sistematica. Le vittime venivano spesso picchiate, sottoposte a scosse elettriche, bruciature e legature prolungate, mentre le donne subivano violenza sessuale di fronte agli altri detenuti. Gli abusi erano finalizzati anche all’estorsione di riscatti. I migranti raccontano di essere stati costretti a pagare somme enormi per la loro liberazione, a volte fino a 14.000 euro per i bengalesi, mentre gli egiziani venivano estorti per importi inferiori, circa 2.000 euro. Le famiglie, in molti casi, dovevano raccogliere il denaro per liberare i propri cari, a volte con la minaccia di vedere i figli torturati o uccisi. Una delle testimonianze più strazianti riguarda un giovane bengalese di 26 anni, che ha mostrato i segni delle bruciature sulle mani come prova delle torture subite.
I 43 migranti hanno tempo fino a giovedì prossimo per decidere se presentare ricorso contro il diniego della domanda di asilo, come previsto dalla normativa, bocciata dalla commissione territoriale prefettizia mentre erano nel centro albanese di Gjader. Il trasferimento in Italia segue la sentenza della Corte d’Appello di Roma che non ha convalidato il trattenimento rinviando alla Corte di giustizia europea la nota questione dei Paesi sicuri, già all’attenzione dei giudici di Lussemburgo per i precedenti rinvii decisi da altri Tribunali. La Corte ha anche evidenziato come molti dei migranti, malgrado fossero stati oggetto di torture, non siano stati riconosciuti come vulnerabili dai primi colloqui con la commissione territoriale. Il rischio che questi migranti vengano respinti a breve, nonostante le violenze subite, è concreto, come ha spiegato l’avvocato Dario Belluccio, che assiste alcuni di loro. Il sistema delle procedure accelerate di frontiera, voluto dal governo italiano, ha sollevato preoccupazioni anche tra gli attivisti e i legali. “Molti non sanno leggere, nessuno gli ha spiegato come funzionano le procedure, e il tempo a disposizione per fare ricorso è troppo breve”, ha osservato Filippo Miraglia, responsabile immigrazione e asilo dell’Arci.