Tre domande su Shoah e genocidio: proveremo a rispondere a Convivere con Auschwitz

Auschwitz è un fatto unico nella storia? Davvero, da quando scriviamo i nostri ricordi, non si sono dati crimini altrettanto atroci? E soprattutto, a cosa serve ancora, ottant’anni dopo, il Giorno della Memoria, che oggi celebriamo anche a Trieste – Teatro Miela, ore 16, ingresso libero e accesso online (qui per seguire la diretta streaming), come da locandina – con l’undicesima edizione di Convivere con Auschwitz? Sono tutte domande cui rispondere, e alle quali possono darsi risposte diverse, secondo posizioni, opinioni, informazioni di ognuno.
Alcune comunità ebraiche rifiutano persino di porsi il problema, e rispetto la loro posizione; pure fra noi di Convivere, Gianni Peteani e io, abbiamo opinioni differenti. Oltretutto, quest’anno ci occupiamo del ritorno della guerra in Occidente, da Kiev a Gaza: tema che più divisivo non si può. Dunque, qui risponderò alle tre domande solo per me, assumendomene tutta la responsabilità. Chi non è d’accordo, dunque, spari al cuore ma risparmi la testa: anche perché cerco di usare soprattutto quella.
Anzitutto, la Shoah è un fatto unico nella storia? Certo che no: la storia umana è tutta è una collezione di atrocità. Pensiamo solo agli altri genocidi riconosciuti dal diritto internazionale: l’armeno, il curdo, lo stesso Holodomor ucraino, milioni di contadini sterminati per fame da Stalin, il Putin del Novecento. Senza andare troppo lontano, però, ricordiamoci di Srebrenica (1995): ottomila musulmani massacrati dai serbi di Bosnia, i cui capi sono stati condannati per genocidio dalla Corte penale internazionale.
Poi, cosa distingue Auschwitz da tutte le atrocità precedenti e successive, compresi i bombardamenti indiscriminati su Gaza? Si potrebbe dire che la Shoah è solo il caso paradigmatico di genocidio: degli altri si può dubitare, di Auschwitz no. La Shoah è cioè solo – ma scusate se è poco – il paradigma di tutti gli olocausti, come li chiama Gilles Kepel nel libro omonimo, perpetrati quotidianamente: in Russia e in Cina, nei paesi islamici e in quelli buddisti, e domani, con le deportazioni, anche negli Stati Uniti scristianizzati da Trump.
E questo permette di rispondere anche all’ultima domanda: a cosa serve, ottant’anni dopo, celebrare il Giorno della Memoria? Già la Shoah basterebbe a giustificarlo; in più, ci sono Holodomor, Srebrenica, Gaza… Il Giorno della Memoria dev’essere come un faro, che si accende una volta l’anno su tutte le atrocità che vorremmo dimenticare.
Resta in contatto con la community de Il Fatto Quotidiano