Aveva solo 25 anni ed era il 17 giugno del 1969 quando Martine Beauregard fu rinvenuta ai bordi della strada che costeggia l’ippodromo di Vinovo, nelle campagne torinesi, poco distante dai campi dove oggi si allena la Juventus. Era completamente nuda, con addosso un solo e vistoso anello al dito. Quella giovane donna era stata visibilmente barbaramente seviziata.
Il giallo di Martine – Era di origini francesi Martine come suggerisce il nome ma il suo cognome vero era Ras: era figlia del pittore Alberto Ras. Il suo cognome francese (come la madre Georgette) lo aveva scelto lei stessa perché il padre, già sposato, non aveva potuto darle il suo in epoca pre-divorzio. Apprendista, operaia turnista, poi collaboratrice domestica. Negli ultimi tempi Martine aveva, infine, scelto il mestiere di “mondana” che è il termine con cui la castigata stampa dell’epoca definiva le prostitute. Ma Martine in realtà era una escort, frequentava ambienti elitari. Fu proprio durante la sua ultima festa che la ragazza perse la vita. Aveva assunto delle sostanze? Si disse anche questo ma gli esami tossicologici smentirono fosse drogata o ubriaca. Fu dunque un gioco erotico finito male ad ucciderla? Le ombre sul giallo di Martine si diradano, negli ultimi tempi, ma ancora non svelano ciò che accadde oltre cinquanta anni fa in quella villa tra le Valli del Lanzo a cui prese parte la “Torino Bene”.
La confessione di Charlie Champagne – Un tale Carlo Campagna, conosciuto all’epoca come Charlie Champagne, prima si accusò del delitto e poi ritrattò al commissario Giuseppe Montesano. In carcere ci restò sette mesi, ma era chiaro che la sua versione presentava delle contraddizioni rispetto a quanto accadde davvero a Martine. Lui disse che lei era svenuta perché drogata e priva di sensi nella vasca da bagno e che lui, preso dal panico, la lasciò annegare, ma non c’era acqua nei polmoni di Martine.
Nell’autopsia di Aldo De Bernardi, secondo quanto poi riportato sui quotidiani dell’epoca, si parlò di strangolamento e bruciature di sigarette , ma anche di tagli inferti con la lametta. Martine aveva anche dei lividi sulle gambe, era stata legata. Quando Campagna uscì dal carcere, ci fu un’operazione finanziaria che lo salvò dalla bancarotta, strana coincidenza.
Le nuove indagini – Quello di Martine è uno dei tanti femminicidi irrisolti e dimenticati. Finché nel 2017 il procuratore Andrea Paladino riaprì il caso a Torino. Una donna si era fatta avanti dicendo di conoscere l’assassino. A lei lo aveva raccontato il marito poco prima di morire: “è stato mio zio a ucciderla”, le aveva detto. “Si tratterebbe dell’imprenditore Giovanni Merlino” (fonte. Repubblica del 16 ottobre 2017). L’uomo negò ogni coinvolgimento e fu prosciolto dalle accuse in mancanza di prove a suo carico. La pm Eugenia Ghi archiviò il caso e Paladino lasciò la Mole, ma intanto la storia di Martine è riemersa dall’ombra. Nei mesi scorsi, Campagna avrebbe rivelato a una giornalista del settimanale “Giallo” che fu lui a portare Martine nella lussuosa dimora quella sera. Disse anche che quando lei morì, lui non c’era. “Mi autoaccusai del delitto solo perché strafatto di droga”, è scritto in una sua deposizione.
Le ultime rivelazioni di Campagna – Di recente sarebbe emerso che quella notte con Martine c’erano almeno quattro persone: un noto industriale, un imprenditore, un impresario edile e un magistrato. A dirlo è stato proprio Campagna, oggi ultra ottantenne e che dopo questa vicenda terribile si è cimentato come impresario nel campo degli eventi e delle feste. I nomi dei quattro uomini in questione sarebbero scritti su un documento che si trova nella cassaforte di un notaio torinese. (fonte: Torinocronaca del 1 dicembre 2024)
Secondo lo scrittore Livio Cepollina che ha lavorato a una ricostruzione storica del caso insieme al giornalista Andrea Biscàro, “Il caso è costellato di personaggi ambigui, sudici, lettere anonime, testimonianze fuorvianti, una Torino alta e altra che fa quadrato”.