“A Roberto Franceschi e a tutti coloro che nella Nuova Resistenza dal ’45 ad oggi caddero nella lotta per affermare che i mezzi di produzione devono appartenere al proletariato”. Questa scritta si può leggere alla base di un maglio degli anni 30 posizionato davanti all’Università Bocconi che ricorda il sacrificio e la morte di un suo studente ucciso per mano della polizia, durante gli scontri avvenuti nel tentativo di entrare in università per tenere una manifestazione aperta al pubblico la sera del 23 gennaio 1973. Che cosa possa significare questa scritta per gli studenti di questa rinomata università è molto difficile da immaginare, e anche se la Bocconi ha intitolato l’Aula Maggiore a Roberto e ogni anno partecipa alla sua commemorazione questa frase appare conchiusa in un ermetismo novecentesco.
Quando venne posizionato il maglio (1977) e quando Roberto fu ferito a morte c’ero, e ancora oggi ricordo il nostro sbigottimento nel cercare di sfuggire agli spari, e l’incredulità che ci accompagnava nella fuga, ignari del fatto che Roberto giaceva morente colpito alle spalle. Da allora sono passati tanti anni e “il compagno Franceschi” ha continuato a vivere nella memoria di tanti ragazzi di allora, ma soprattutto continua grazie alla tenacia e alla determinazione di Lydia sua mamma e di sua sorella Cristina, che hanno voluto investire il “risarcimento” giudiziario in una Fondazione che sostiene giovani ricercatori su povertà e disuguaglianza, con progetti nelle scuole su Costituzione, diritti lavoro.
Nella disperazione di quei momenti è stata una scelta giusta, non solo per ricordare uno studente eccellente con tantissimi interessi votato alla causa del miglioramento della vita degli sfruttati, ma anche per non trasformare il passato in una fredda scritta su di una lapide.
Si può fare dell’ucronia (presentazione di eventi coerente, ma ipotetica, simulata sulla base di dati non realistici), anche su singole persone? Forse sì. Dove sarebbe oggi Roberto? Che cosa farebbe? Che lavoro avrebbe? In cuor mio continuo a pensare che non si sarebbe perso come tanti dopo quegli “anni formidabili” come ricorda epicamente e forse confusamente Mario Capanna, ci avrebbe ricordato credo che “I bambini giocano alla guerra” come nella poesia di Bertold Brecht, fedelmente ripresa proprio per commemorare Roberto in questi folli giorni.