Cinema

Il giorno dell’incontro, una vibrante di storia sul pugilato con un perdente a cui vorrete bene

Mike (Michael C. Pitt) è un personaggio a cui vuoi bene fin dai primi frammenti di film. Un loser, un perdente, un pugile ex campione appena uscito dal carcere che desidera riscattarsi dai tanti errori personali e familiari commessi

di Davide Turrini
Il giorno dell’incontro, una vibrante di storia sul pugilato con un perdente a cui vorrete bene

Mike (Michael C. Pitt) è un personaggio a cui vuoi bene fin dai primi frammenti di film. Un loser, un perdente, un pugile ex campione appena uscito dal carcere che desidera riscattarsi dai tanti errori personali e familiari commessi. Per la sua redenzione ci sono le 12 ore che precedono l’incontro per il titolo dei pesi medi al Madison Square Garden di New York. E queste dodici ore sono Il giorno dell’incontro di Jack Huston. Uno scrigno di grondante redenta intimità e versione vibrante di storia del cinema sul pugilato dissolto in un abbacinante bianco e nero, dove una luce kaminskiana proviene da lontano e quel lontano quasi lo cancella, tenendolo come fuori dalla vista.

Il risveglio solitario di Mike – “Irish Mike” – è dentro un appartamento di Brooklyn scrostato e disadorno. Esercizi fisici tra sala e corridoio poi una lunga carrellata di incontri tra vicini di casa, conoscenti, parenti, tutti sulla strada per la palestra dove assieme all’allenatore (Ron Perlman) rifinirà gli ultimi jab e diretti prima del match serale. C’è la figlia che entra a scuola e che Mike osserva da lontano; la signora del bar che gli prepara l’uovo crudo in bicchiere; lo zio portuale (Steve Buscemi) che gli restituisce il prezioso anello di mamma; un macellaio nero e musulmano che per quell’anello gli dà settemila dollari; l’amico commerciante ebreo che accetta la scommessa su di lui; il giovane prete suo sincero confessore. Infine l’ex moglie (Nicolette Robinson) che accetta di incontrarlo al parco per qualche minuto e il padre (Joe Pesci) infermo e muto rinchiuso in un ospizio.

La via crucis di Mike, irlandese, chiaramente cattolico, ovviamente white trash socio-economico da Grande Mela, è servita con misura nei tocchi rapidi caratteriali dei co-protagonisti e nelle precise funzioni psicologiche che suscitano sul protagonista. Chiaro che poi vincere o perdere quell’incontro conta il giusto rispetto alla possibilità di aver rimesso a posto i pezzi del puzzle personale. Huston imbastisce un film che accarezza il minimalismo letterario e visivo, si affida filosoficamente all’astrazione fotografica di Peter Simonite (si vede che ha lavorato sui set di Terrence Malick), fa attraversare addosso a Mike/Pitt molta simbolica trafila di dropout pugilistici tristi a partire dal Rocky di Avildsen (quell’allure un po’ rintronata e bonaria) e alla sincera modestia del The Champ di Zeffirelli, infine tenta pure una pennellata finale vagamente fiabesca.

Poi, se c’è una cosa che a Huston riesce con grande raffinatezza sono le sequenze articolate (la preparazione al risveglio, l’entrata sul ring, ecc..) montate con morbida e rapida malia, l’assenza di dialoghi e suoni d’ambiente e la presenza evocativa di un brano musicale anche diegetico (l’Have you ever seen the rain? dei Creedence cantata dalla ex moglie al piano ha una straordinaria forza catartica) per trascinare sguardo e sentimento dello spettatore. Pitt barcolla (spesso) ma non molla, offrendosi con naturale e mai troppo carica mimesi settoriale, ad un corpo di pugile irrobustito ma fragile, di uomo destinato a subire, sanguinare, soffrire. Jack è nipote di John Huston che alla boxe dedicò lo splendido Fat City, dalla direzione narrativa simile a Il giorno dell’incontro. Day of the fight (in originale) è lo stesso del primo cortometraggio (1951) di Stanley Kubrick. Distribuito nelle sale italiane grazie a Movies Ispired.

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