di Paolo
Lo strepitoso e impavido governo – per cui ci manca solo che scriva che se la presunzione d’innocenza vale per tutti gli imputati, l’innocenza è certa per tutti gli imputati che proiettino un’ombra – ha partorito un’altra legge. Del resto dopo aver preso a colpi d’accetta la giustizia, manco fosse Spelacchio già pesantemente addobbato di palle, perché esimersi dal parlarne a parabole. Io non sono giornalista e non so se esita un testo cui riferirsi, ma consiglierei a questo punto la Bibbia. Un bestseller meraviglioso zeppo di notizie di reato e di creativi escamotage narrativi, tipo: “In verità, in verità io vi dico: Chi non entra per la porta nell’ovile delle pecore, ma vi sale da un’altra parte, quello è un ladro e un brigante”.
In sintesi – per quanto ho compreso io – ai giornali non sarà più consentito riportare tra virgolette “provvedimenti con cui il giudice dispone la custodia cautelare in carcere o gli arresti domiciliari…”, ed inoltre “l’obbligo/divieto di dimora, l’interdizione dallo svolgimento di un’attività o l’obbligo di firma” anche se sono atti non coperti da segreto investigativo.
Indi per cui se tali atti li conosceranno solo gli indagati e i loro difensori, si direbbe esistano grosso modo solo due modi affinché noi possiamo darci un’occhiata: l’idea più semplice è che i giornali seguano l’esempio del Fatto Quotidiano e facciano obiezione di coscienza; la più complicata è che noi cittadini cominciamo a difendere gli indagati o a farci indagare. Da questo punto di vista è possibile che certi politici siano mal compresi; uno pensa che delinquano, quando magari sono solo così pulciari che sono disposti a finire al gabbio pur di risparmiare qualche euro di giornale. Ecco perché sempre più edicole chiudono.
Per quanto riguarda i provvedimenti, dovranno essere i giornalisti a scriverne in sintesi e a parole proprie, in segno di straordinario atto di fiducia riposta nei confronti del cronista più che nel giudice.
Per quel che mi riguarda, da tutta questa faccenda traggo le seguenti riflessioni.
Il governo usa un numero spropositato di parole per scrivere leggi bavaglio e depositare altri disegni legge, al fine di evitare che sui giornali ci siano quelle poche parole scritte, che completino il panorama sul perché di tali leggi schifose; quindi i politici scrivono di più su ciò che riguarda i giornalisti, per evitare che i giornalisti scrivano di più sui ciò che riguarda i politici.
Il bavaglio è stato, con diverse declinazioni, il passatempo di molti governi, un po’ come il bridge per le signore attempate, un tavolo dove riunirsi ogni tanto e giocare. Difatti in entrambe i casi si gioca in coppia, chiunque stia giocando è detto “dichiarante” e il compagno è il “morto”, indovinate chi è l’uno o l’altro.
La libertà d’informazione così come la democrazia, siamo tutti molto bravi a sapere come dovrebbe funzionare, ma impieghiamo più il tempo a lamentarci perché non funziona. Noi italiani amiamo polemizzare, tanto che se le lamentele fossero denaro pubblico, incrementeremmo il Pil ogni volta che prendiamo una buca.
Non ci rendiamo mai veramente conto di quanto una legge sbagliata ci colpisca tutti, è una sorta di visus limitato che ci fa stare coi piedi asciutti, anche se l’isola e solo un numero più dei nostri piedi. Leggiamo di scandali di corruzione e soldi pubblici sperperati, ma quei soldi sono nostri sacrifici, sono il tempo che viene distolto dalla vita che dedicheremmo a migliorare ed in cui magari ci informeremmo di più. Una legge bavaglio, come del resto qualunque sforzo di annichilire il terreno su cui costruire un’opinione valida, ci deruba due volte.
Paolo Borsellino che dicono sia nel pantheon della destra diceva: “Bisogna liberarsi da questa catena feroce dell’omertà che è uno dei fenomeni sui quali si basa la potenza mafiosa”.