Doveva essere il crollo dei partiti tradizionali e l’avanzata dell’estrema destra. Nei palazzi di Bruxelles, nei mesi che hanno preceduto le elezioni, il pensiero ricorrente, la speranza nemmeno troppo nascosta era quella di andare al voto il prima possibile per congelare questo trend e limitare i danni. Facevano bene a pensarlo i Verdi e i liberali di Renew, che perdono una ventina di seggi ciascuno. In parte anche i Socialisti, che limitano i danni lasciando per strada una manciata di scranni. Chi, invece, ci guadagna sono i Popolari: non prendono solo una decina di poltrone in più nella plenaria di Strasburgo, ma grazie al calo diffuso degli alleati nella possibile maggioranza vedono il proprio peso specifico aumentare. E adesso sono pronti a diventare il partito pigliatutto alle contrattazioni per le nomine dei prossimi vertici Ue. La prima a trarne beneficio potrebbe essere proprio Ursula von der Leyen, da tutti data per spacciata fino a pochi giorni fa.

Ppe pigliatutto
I numeri, ancora parziali ma già molto indicativi, parlano chiaro: una ‘coalizione Ursula‘ tra Popolari, Socialisti e Renew vale da sola circa 400 seggi sui 361 necessari per poter ottenere la maggioranza in Parlamento. Ma a rendere questi numeri ancora più favorevoli alla principale famiglia europea è il fatto che circa la metà degli scranni, intorno ai 190, si tingeranno di azzurro. Il 50% della maggioranza vuol dire avere la possibilità di piazzare i propri uomini e donne nei ruoli chiave delle istituzioni europee. A questo si aggiunge il fatto che l’ala più conservatrice del partito rappresenta un’ottima sponda per dialogare anche con i partiti conservatori, come Fratelli d’Italia, in caso di bisogno.

Ma l’influenza del Ppe non si limiterà alla Plenaria. Anche in Consiglio il partito esercita un forte peso nelle decisioni: 11 dei 27 capi di Stato e di governo sono di marca azzurra e presto, probabilmente, se ne aggiungerà un altro. E non una cancelleria a caso, ma la più importante d’Europa: stando ai risultati delle Europee, la Cdu è tornata in testa alle preferenze dei tedeschi e potrebbe riformare, subito in caso di sfiducia a Scholz o tra un anno in caso di fine naturale del suo mandato, la Große Koalition in funzione anti-AfD.

Molti di questi leader, tra l’altro, hanno un consenso saldo in patria. Basti pensare che sono del Ppe i tre primi ministri che hanno ricevuto la più alta percentuale di preferenze in tutta Europa: il polacco Donald Tusk, comunque tallonato dall’estrema destra del Pis, il croato Andrej Plenković e il greco Kyriakos Mītsotakīs.

A sorpresa, torna von der Leyen
Ciò che conta, adesso, è come il Ppe ha intenzione di capitalizzare questa superiorità numerica. Il punto di partenza, e di forza, nelle contrattazioni è soprattutto uno: non esiste maggioranza possibile senza i Popolari. Detto questo, a determinare le scelte per le top cariche europee non sarà solo il peso del partito, ma anche i risultati deludenti di alcuni alleati. Uno su tutti, Renew Europe. Se i Socialisti, in crisi in diversi Stati, compresa la Germania dove governano, avevano presentato uno Spitzenkandidat da molti considerato debole come il lussemburghese Nicolas Schmit, il candidato non ufficiale dei liberali era Mario Draghi, spinto sia dall’ala macroniana del partito e, ovviamente, anche da Renzi e Calenda. Peccato che, nonostante la caratura del personaggio e la stima di cui gode a Bruxelles, con risultati così mediocri dei suoi sponsor sarà difficile vederlo seduto sulla poltrona più prestigiosa dell’Unione europea.

Così torna in auge un nome che sembrava sopravvivere solo come riconoscimento per il lavoro svolto in questi cinque anni, indebolito dal suo stesso partito e ridotto a rinnegare il suo piano principe: Ursula von der Leyen. Da candidata perdente in partenza, la presidente uscente non solo ha visto le possibilità di un secondo mandato al Berlaymont schizzare in alto in poche ore, ma adesso gode anche dell’endorsement di chi, come Manfred Weber, ha lavorato mesi per evitare una nuova maggioranza con i Socialisti e, quindi, destinarla a un futuro lontano da Bruxelles. “Nel centro democratico siamo gli unici che hanno vinto ieri – ha detto il presidente del Ppe – Siamo noi i vincitori e la democrazia prevede che chi ha vinto decida chi debba stare ai vertici. Ursula von der Leyen è la nostra candidata. Noi ci aspettiamo che lunedì da Scholz e Macron ci sia un segnale di determinazione e coesione” sulla sua nomina.

Toni ben diversi da quelli di pochi mesi fa, quando il partito ha prodotto un programma per il prossimo quinquennio che rinnega in gran parte il Green Deal che la tedesca considerava il progetto più importante del suo mandato. Nonostante ciò, l’ex ministra tedesca ha deciso di rinunciare a correre per la successione a Jens Stoltenberg come segretario generale della Nato e tentare la sfida della ricandidatura. Per tutta risposta, Weber ha deciso di procedere alla sua nomina come Spitzenkandidatin non per acclamazione, ma con voto palese. Risultato: ha fatto emergere la spaccatura in seno alla famiglia europea sulla sua figura.

Una candidata così debole sembrava destinata a finire la sua corsa un minuto dopo i risultati del voto. E invece tutte queste contingenze hanno fatto sì che il suo torni a essere il nome più accreditato. Dopo i duri colpi ricevuti, von der Leyen sarebbe una presidente più debole di cinque anni fa, quando godeva dell’endorsement di Angela Merkel, e quindi facilmente gestibile dal partito. Questo, se unito alla forza del Ppe rispetto agli alleati, fa sì che possa essere accettata senza troppe opposizioni. Non solo da Renew e Socialisti, ma anche da Fratelli d’Italia, visto il rapporto che la lega a Giorgia Meloni.

Il Ppe, però, chiederà di più. Con i liberali in caduta libera, i Popolari puntano a confermare anche un altro nome, quello della maltese Roberta Metsola alla presidenza del Parlamento Ue per altri due anni e mezzo, dopo una prima metà di mandato seguita alla morte di David Sassoli. Metsola ha fatto il pieno di voti nel suo Paese, indicatore positivo per quello che è il suo principale obiettivo: stare a Bruxelles per altri due anni e mezzo e poi candidarsi alle Politiche a Malta. A quel punto, potrebbe aprirsi uno spiragli proprio per Renew che potrebbe far concludere il mandato a un suo rappresentante. Il Consiglio Ue, invece, sembra già destinato ai Socialisti, con un nome su tutti: l’ex primo ministro portoghese Antonio Costa. Per la corsa al Berlaymont, a oggi, il nome di von der Leyen rimane in lizza. Ma si sa: il gioco delle nomine e delle contrattazioni a Bruxelles miete spesso molte vittime

X: @GianniRosini

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