Parlandone freddamente, come se fosse soltanto un fatto dello spettacolo, l’imminente confronto televisivo Meloni-Schlein si presenta potenzialmente come l’evento ‘crash-point’ dell’opposizione politica, ovvero della sinistra-centro, alla vigilia di un appuntamento elettorale. Elly Schlein, chiudendosi in un duello, oltretutto così impari, dà infatti il segnale opposto a quello di chi si vuole avviare a costruire il cosiddetto ‘campo largo’.

Del resto, come direbbe un Giampaolo Pansa dell’epoca d’oro, scucendo uno dei suoi giochetti di parole, in ‘GiorgElly’ o ‘Schleinoni’ si legge la follia strategica di una già traballante segretaria del Pd che pensa di trovare legittimazione come principale interlocutore-avversario di una leader (quasi) carismatica, proprio mentre Meloni prepara addirittura la riforma del ‘premierato forte’ scendendo in campo con il solo nome di battesimo Giorgia.

Vi è inoltre da considerare un’asimmetria legata al contesto, il che prescinde e anticipa ogni ragionamento su ‘Porta a Porta’ o sull’ipotesi ‘alternativa’ a Bruno Vespa, che sia Enrico Mentana o chiunque altro. Parlando semplicemente della televisione come palcoscenico, l’aspetto, le personalità e il linguaggio delle due prime attrici sono comunque troppo squilibrati in favore dell’una.

Ma c’è di più e di specifico.

Giorgia Meloni è un politico talmente ‘televisivo’ che si fa persino puntualmente da sola i suoi messaggi alla nazione, che vengono poi ripresi sui social e trasmessi ai telegiornali. Elly Schlein, invece, si è presentata al pubblico come una figura così poco illuminata dai riflettori dei mass-media che ha potuto sfoderare, come se fosse una sua propria frase, il giorno della sorprendente elezione a segretario del Pd, quel ‘non ci hanno visto arrivare’. Affermazione, peraltro, tutt’altro che ordinaria, dato che viene, come noto, dal titolo di un saggio americano sul potere rivoluzionario delle donne – They didn’t see us coming di Lisa Levenstein – eppure già per sé una frase ben poco conosciuta come slogan femminista. Nel caso specifico suona come la certificazione di una presenza così insignificante da passare ‘non vista’, cioè inosservata, fino a quel giorno. Anzi, mica tanto fino a quel giorno, perché poi con le parole non si scherza: ovvero, per dirla forte, anche se diventi San Giovanni Paolo II l’abbatti-Muri, resterai pur sempre il Wojtyla del ‘se mi sbaglio, mi corriggerete’.

E veniamo al tema del mediatore/arbitro e della risonanza di una qualunque scelta. I protagonisti in ballo di cui parlano le cronache, Vespa e Mentana, giocano tout court a sfavore di chi dovrebbe rappresentare il rinnovamento e l’aspirazione a un cambiamento della società. Anche un marziano vede al volo che si tratta di due mummie televisive, ma un americano potrebbe correggere l’iperbole spregiativa spiegando che nei giornalisti televisivi può capitare che le carriere siano interminabili, come insegna il caso di Walter Cronkite: ecco, meglio non approfondire.

S’aggiunga pure che, per quanto riguarda Mentana, che sarebbe il preferito dagli spin-doctor di Schlein, basta anche solo evocare il precedente del faccia a faccia cui è seguita la clamorosa sconfitta elettorale di Occhetto. Marciando dritto verso il funerale politico di GiorgElly, sicuramente Vespa è un celebrante più appropriato. Altro che Simul stabunt, simul cadent, l’autolesionismo di Schleinoni s’è visto già anche solo nell’idea di un ‘crash-point’ televisivo del genere.

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