Mai come quest’anno il ministero del Lavoro ha bisogno di comunicare i servizi per l’impiego. Dal primo gennaio è partito il nuovo Reddito di cittadinanza, l’Assegno di inclusione, mentre ancora arranca il Supporto formazione e lavoro dedicato ai cosiddetti occupabili che partecipano ai corsi di formazione. Ma soprattutto entra nella fase decisiva il programma Garanzia occupabilità dei lavoratori (Gol), legato ai fondi del Pnrr, a fine corsa l’anno prossimo e tuttavia ancora in alto mare, con Regioni che denunciano la difficoltà ad agganciare l’utenza. Negli ultimi dieci anni, a parlare del mondo del lavoro in televisione e a comunicare le opportunità messe in campo dai governi ci ha pensato Il Posto Giusto, la trasmissione di Rai3 in onda tra gennaio e giugno. Realizzato in collaborazione col ministero del Lavoro, il programma è stato finanziato da Anpal, l’agenzia per le Politiche attive del ministero, anche col contributo del Fondo sociale europeo. Ma quest’anno la stagione è saltata: il ministero di Marina Calderone non ha rinnovato la convenzione con la Rai.

Così, nei giorni dello scontro per la par condicio, in mezzo alle polemiche sulla Rai dell’era Meloni ci finisce anche l’unico programma del servizio pubblico dedicato al mondo del lavoro. “Chiude Il Posto Giusto: Telemeloni è un pozzo senza fondo. Perde i pezzi pregiati e dismette quelle trasmissioni di servizio che sono il motivo per cui si paga il canone”, ha tuonato Sandro Ruotolo, responsabile Informazione nella segreteria nazionale del Pd. “Una chiusura inspiegabile per un programma che, coerentemente alla missione del servizio pubblico, ha raccontato negli anni le opportunità, le sfide e gli strumenti necessari a garantire un mercato del lavoro equo e sicuro”, hanno detto i componenti dem della commissione di vigilanza Rai, annunciando la presentazione di un’interrogazione parlamentare per conoscere direttamente dai vertici Rai le motivazioni della decisione.

A bloccare tutto, compresi i contratti di lavoro, è la convenzione che negli anni passati Anpal e Rai firmavano per un programma che ha promosso politiche attive e formazione, dando voce a esperti del ministero ma anche a lavoratori, tirocinanti, formatori. Anpal pagava all’incirca un milione di euro per venti puntate, sempre andate in onda, anche durante il Covid. Ma da quest’anno l’Anpal non esiste più, riassorbita dal ministero di Calderone che nel passaggio si è persa per strada la preziosa vetrina televisiva. La convenzione andava rinnovata entro gennaio, ma così non è stato e nemmeno il 12 aprile, come poi era stato promesso. Oltre il mancato servizio a una parte della cittadinanza, quella in cerca di un lavoro, per cui le informazioni possono davvero fare la differenza, a fare i conti con l’ennesimo pasticcio sulle politiche attive c’è anche la redazione del programma, una trentina di professionisti del video che non hanno preso altri impegni e ora si ritrovano con le mani in mano.

“Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali conferma la sua intenzione di continuare la collaborazione con la Rai per il programma “Il Posto giusto”, un’iniziativa che si è rivelata importante per la comunicazione istituzionale su temi di interesse pubblico. La volontà di proseguire è sempre stata chiara e permetterà di allocare presto i fondi necessari”, risponde al Fatto il ministero, che peraltro aveva già approvato il piano editoriale del programma. E allora qual è il problema? “Il Ministero ha il dovere di garantire la trasparenza e la corretta gestione dei fondi pubblici. Con l’integrazione di Anpal, che gestiva quei fondi, nel Ministero, e la mancata firma della convenzione da parte del precedente Commissario straordinario di Anpal, la responsabilità del processo è ora del nuovo dipartimento delle politiche del lavoro, il cui capo, Vincenzo Caridi, si è appena insediato. Sarà, quindi, sua cura, una volta assegnati i titoli di spesa e seguendo le dovute procedure, provvedere senza indugi, in tempi stretti e utili per la programmazione”. In altre parole, si è dovuto attendere il solito giro di nomine, con Caridi che da direttore generale dell’Inps passa al nuovo dipartimento perché il suo posto all’Istituto fa gola ad altri. Li chiamano tempi tecnici, e tanto basta. Per vedere in onda il programma, assicurano gli addetti ai lavori, ormai bisognerà attendere i palinsesti autunnali: il servizio pubblico può aspettare.

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