La presidente uscente della Commissione europea Ursula Von der Leyen è stata ufficialmente ricandidata alla guida dell’esecutivo dell’Ue. Il Partito popolare europeo, il suo partito, al congresso di Bucarest ha dato il via libera alla corsa per la riconferma della ex ministra tedesca, 65 anni, esponente della Cdu, il partito cristianodemocratico in Germania. L’approvazione è avvenuta a larghissima maggioranza: 400 sì, 89 no, 10 voti non sono stati ritenuti validi. C’è un lato b di questa votazione e va sottolineato, anche se al momento è solo un dato per gli annali: i delegati aventi diritto al voto erano 801 ma a partecipare sono stati poco più della metà. In più nello scrutinio segreto – che Von der Leyen ha superato senza problemi com’è evidente – sono comparsi questi 89 contrari e c’è da capire se è solo sapore di democrazia o può essere una crepa destinata ad allargarsi. Il pacchetto dei no non è stato organizzato formalmente o comunque esplicitato. Ma ci sono sospetti su un pezzo della stessa Cdu – dove Von der Leyen continua ad avere avversari interni -, sui popolari dei Paesi nordici ai quali non è piaciuta l’inversione a U della presidente della Commissione sulle politiche ambientali e il Green Deal e ancora sui neogollisti francesi, i Republicains. “Von der Leyen – aveva scritto ieri il presidente del partito, il parlamentare nizzardo Eric Ciotti – incarna la deriva tecnocratica dell’Ue ed è la candidata di Macron“. “Per affrontare le sfide che ha davanti – continua la lettera – l’Europa ha bisogno di chiarezza, ha bisogno di cambiamenti profondi e di un rinnovamento alla testa della Commissione”.

E l’Italia? Antonio Tajani – molto ascoltato nel Ppe, di cui è vicepresidente – sostiene Von der Leyen, anche se dentro Forza Italia si leva una voce che incrina l’armonia: “Forse si poteva osare di più – dice Licia Ronzulli, vicepresidente del Senato – e imboccare una strada più coraggiosa, magari con un candidato che avesse una sensibilità maggiore ai problemi del Mediterraneo“. “In ogni caso, la votazione all’unanimità del manifesto elettorale – aggiunge – dovrà essere accompagnata da un cambio di passo, perché negli ultimi anni la Commissione non sempre è riuscita a muoversi con coerenza”.

Ancora oggi Von der Leyen ha tentato evidentemente di parlare all’ala più a destra dei popolari europei, a partire dalla conferma della parole fine sull’apparente grande afflato sull’Europa capofila della svolta ambientale necessaria all’agenda globale di 5 anni fa: “Noi promettiamo un futuro di tecnologie industriali pulite per l’Europa – sottolinea Von der Leyen – A differenza di altri noi siamo per soluzioni pragmatiche e non ideologiche, sappiamo che non esiste competitività senza la transizione ecologica ma sappiamo che non c’è industria pulita senza competitività”. E poi la questione dei migranti, per esempio: “E’ l’Europa – afferma la presidente della Commissione – che decide chi entra o chi non può entrare e a quali condizioni, non sono i trafficanti a decidere”.

Non erano state nemmeno riposte urne e schede che la candidatura di Von der Leyen già aveva i suoi nemici giurati. Non a sinistra ma a destra: “A distruggere l’Europa – si legge in una nota della Lega – sono le politiche folli di questa sciagurata e sinistra Commissione, che non ha fatto nulla per contrastare l’immigrazione clandestina e l’estremismo islamico, che ha lavorato per rovinare gli agricoltori italiani ed europei a furia di tasse, regole idiote, farina di insetti e cibo sintetico, per licenziare migliaia di operai del settore auto per fare un favore alla Cina e riempirci di auto elettriche, per mettere in difficoltà tutti i proprietari di case con nuovi obblighi e balzelli”. Non è sorprendente la presa di posizione dei leghisti e peraltro il loro è un sentimento ricambiato da Von der Leyen: “Non possiamo avere un dialogo con il Rassemblement National (il partito di Marine Le Pen, ndr), loro sono amici di Putin. Il dialogo è con chi supporto l’Ue, l’Ucraina e lo stato di diritto”. I lepenisti, come noto, sono la più importante alleata di Matteo Salvini in Europa.

Nel mirino del Carroccio, poi, c’è naturalmente l’alleanza del Ppe con i socialisti. Il patto post-elettorale sulle istituzioni europee sarà necessariamente rinnovato ed è un’esigenza per entrambe le famiglie europee. E quindi, certo, la capogruppo dei Socialisti e Democratici all’Europarlamento, la spagnola Iratxe Garcia Perez, prova a dire che “il nostro supporto a Ursula von der Leyen non è garantito. Se il Ppe vincerà le elezioni negozieremo il programma, ma siamo pronti a fare tutto il necessario per prevenire che la destra detti l’agenda della prossima commissione”. “Difenderemo le nostre posizioni ma non sosterremo nessuno che non accetta le nostre priorità”. L’uscita già da ora appare un po’ velleitaria: non c’è la certezza al cento per cento che Von der Leyen succederà a se stessa, ma che servirà un accordo-base tra popolari e socialisti è l’unica sicurezza dopo il voto delle Europee.

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