Aumentano le imprese finanziariamente vulnerabili nella zona euro e, tra i quattro grandi paesi, l’Italia e la Germania registrano la quota più alta (9%). I dati emergono da un’indagine della Banca centrale europea. Lo studio evidenzia come in entrambi i Paesi si sia “osservato di recente un aumento notevole di tale quota, che riflette quella, relativamente elevata, delle imprese industriali”. Nel secondo e terzo trimestre del 2023 l’indice delle dichiarazioni di fallimento nella zona euro ha superato i livelli pre-pandemia, raggiungendo il livello più elevato dal 2015, quando l’indicatore Ue è stato reso disponibile per la prima volta. “Poiché il fallimento è il procedimento legale avviato dopo che un’impresa è stata dichiarata insolvente, le statistiche sulle procedure fallimentari rappresentano la punta dell’iceberg delle imprese in difficoltà finanziaria”, spiega la Bce.

Gli economisti spiegano che gli aumenti della spesa per interessi (alla base del boom degli utili del settore bancario, ndr) sono importanti per spiegare la probabilità che le imprese diventino vulnerabili: in media, un incremento di 1 punto percentuale degli interessi pagati (in rapporto ai profitti) aumenta del 12% la probabilità di diventare vulnerabile. Le variazioni di debito, fatturato o profitti hanno un impatto molto minore. Questo “suggerisce che gli aumenti dei tassi di interesse, necessari per ridurre l’inflazione da livelli molto elevati, potrebbero incidere sull’attività economica attraverso il loro impatto sulle imprese. Di fatto, le imprese vulnerabili investono meno di quelle non vulnerabili”, spiega lo studio.

Secondo la Bce, comunque, l’attività economica della zona euro “inizierà un lento recupero nel primo trimestre del 2024“, sempre se famiglie e imprese non perderanno fiducia a causa dei conflitti in corso. “Sebbene la crescita del Pil si confermi debole”, i segnali di miglioramento ci sono: tra dicembre e gennaio i nuovi ordinativi hanno continuato ad aumentare sia nel manifatturiero che nei servizi, i recenti contatti della Bce con le società non finanziarie suggeriscono che la crescita si rafforzerà gradualmente e nella stessa direzione vanno i risultati dall’indagine di gennaio dei previsori professionali. “I dati più recenti mostrano segnali di un modesto rafforzamento della crescita nel primo trimestre del 2024”, sostenuta dall’aumento del reddito disponibile reale, a sua volta supportato dal calo dell’inflazione e dalla robusta crescita dei salari, spiega la Bce. Inoltre le esportazioni dovrebbero allinearsi al miglioramento della domanda estera, se non ci sarà un ulteriore rallentamento del commercio internazionale: “La guerra ingiustificata della Russia contro l’Ucraina e il tragico conflitto in Medio Oriente sono significative fonti di rischio geopolitico. Ciò potrebbe indurre, nelle imprese e nelle famiglie, una perdita di fiducia riguardo al futuro e interruzioni negli scambi internazionali”, scrivono gli economisti.

Tuttavia la situazione della Germania, e quindi dell’intera zona euro, nord Italia in testa, preoccupa. Mercoledì sono stati diffusi i dati sulla produzione industriale di dicembre e dell’intero 2023 risultati peggiori delle attese. La flessione rispetto a novembre è stata dell’1,6%, nel confronto con dicembre 2022 del 3%. In particolare la produzione industriale ad alta intensità energetica è diminuita del 6% da novembre a dicembre. La produzione chimica è al minimo da 28 anni. Ciò segnala come la manifattura tedesca continui a subire lo choc dell’aumento dei prezzi dell’energia innescato dalla guerra in Ucraina dopo aver impostato un modello che sfruttava proprio i bassi costi energetici garantiti dalle forniture russe. Mentre dal settore immobiliare continuano ad arrivare sinistri scricchiolii. L’istituto Ifo segnala come l’industria tedesca registri un continuo calo dei nuovi ordinativi. Un anno fa il 21% delle aziende segnalava ordini deboli. Oggi è il 37%.

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