Nell’ultimo giorno utile in base al parere motivato inviato dalla Commissione Ue a novembre nell’ambito della procedura di infrazione, il governo italiano ha inviato a Bruxelles la sua risposta alla lettera con cui l’esecutivo europeo contestava ancora una volta il mancato rispetto della Bolkestein. E demoliva il maldestro tentativo di sottrarre i litorali all’applicazione della direttiva, incentrato su una mappatura che ha incluso anche aree di costa non accessibili, aviosuperfici, porti commerciali e aree industriali pur di dimostrare che le coste non sono “risorsa scarsa”. Roma, ancora una volta, prende tempo. Da un lato manifesta a parole “disponibilità a collaborare”, dall’altro nei fatti chiede di scavallare le elezioni europee prima di definire i sospirati “criteri tecnici” per determinare la scarsità della risorsa naturale. Una palese violazione della richiesta Ue, che era quella di conformarsi al parere stando al quale le concessioni vanno messe a gara.

Chigi invece resta sulla sua posizione e calcia ancora una volta più in là la lattina. Le conclusioni a cui è arrivato il Tavolo tecnico incaricato di mappare le aree già occupate – il 67% delle aree disponibili sarebbero libere e le procedure competitive si potrebbero fare solo per quelle – vengono definite solo “preliminari”. Serve altro lavoro, insomma. Nonostante l’operazione apparisse di per sé già dilatoria visto che da molti anni il ministero delle Infrastrutture gestisce il Sistema informativo del demanio marittimo – Portale del mare. Non solo: occorrono altri quattro mesi, secondo il governo, per concludere il confronto con gli enti locali in Conferenza unificata sui criteri stessi che definiscono la scarsità. Nel frattempo, ovviamente, gli enti locali sono chiamati a prorogare lo status quo e rimandare le gare. A questo punto fino al 31 dicembre 2025. Ora la palla è nel campo di Bruxelles, che – dopo aver alzato il cartellino giallo – dovrà decidere se fare ricorso contro l’Italia alla Corte di giustizia europea per obbligarla a conformarsi al diritto Ue pena una multa.

Per il momento Federbalneari, da sempre sulle barricate contro l’applicazione della direttiva, festeggia: il presidente Marco Maurelli – intervenuto a “Giù la maschera” di Marcello Foa su Radio 1 Rai – ha sostenuto che il governo “ha trovato la quadra” perché “la direttiva servizi prevede che laddove vi sia la non scarsità della risorsa naturale, se la risorsa è disponibile per nuove posizioni si può evitare l’applicazione della direttiva Bolkestein”. Poi ha ribadito – lo rivendica da anni – che la federazione è a favore di una riforma dei canoni oggi irrisori pagati dai concessionari: “Secondo dati Nomisma in media un’impresa del nostro settore genera 260mila euro di fatturato e un canone tra gli 8 e i 10mila euro. Le imprese che svolgono la propria attività su aree del demanio però hanno il 74% di pressione fiscale. Dobbiamo mantenere un equilibrio corretto. La nostra proposta è di un incremento di 4-5 volte quel gettito“, oggi di circa 110 milioni a fronte di un fatturato di oltre 30 miliardi, “ma che va bilanciato sulla base del modello economico turistico e alle diverse regioni d’Italia”. Tradotto: deve pagare di più chi ha stabilimenti nelle aree ad alta valenza turistica. Tutto questo facendo salve le concessioni in essere, si intende. L’associazione di categoria chiede però, in parallelo, una riduzione dell’Iva pagata dai clienti, dall’attuale 22% al 10% applicato alle prestazioni di hotel e campeggi.

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