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Il magistrato Ardita: “Con la riforma Cartabia e il bavaglio ai giornalisti arretramento grave e inaccettabile nella lotta alla mafia”

Il magistrato Ardita: “Con la riforma Cartabia e il bavaglio ai giornalisti arretramento grave e inaccettabile nella lotta alla mafia”
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Da una parte si registra il ritorno in libertà di numerosi boss di Cosa nostra, condannati anche per omicidio. Dall’altra c’è un arretramento negli strumenti di contrasto alle associazioni criminali. Un ritorno indietro “molto grave e per certi versi inaccettabile“. È questa l’allerta lanciata da Sebastiano Ardita, procuratore aggiunto di Catania, durante la serata in ricordo del giornalista Pippo Fava, ucciso da Cosa nostra esattamente 40 anni fa, cioè il 5 gennaio del 1984.

“Vedo una condizione profondamente diversa rispetto a 40 anni. Mentre la criminalità organizzata ha calibrato il proprio approccio rispetto ai propri interessi, dall’altra parte – dalla parte delle istituzioni – non vedo una risposta complessiva che ha memoria di quello che è accaduto”, ha detto Ardita, parlando al fianco di Claudio Fava, ex presidente della commissione Antimafia dell’Assemblea regionale siciliana.

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Il magistrato ha poi citato la riforma del processo penale della guardasigilli Marta Cartabia, approvata dal governo di Mario Draghi: “Vedo un ritorno indietro molto grave e per certi versi inaccettabile. La riforma Cartabia fa arretrare in maniera incredibile qualunque modello di efficienza e di contrasto alla criminalità organizzata. Addirittura prevede un meccanismo per velicizzare i processi che li fa decadere se non si concludono in un certo lasso di tempo”, ha detto il procuratore aggiunto di Catania. Che poi ha anche criticato la legge bavaglio, cioè il provvedimento recentemente approvato dalla Camera dalla maggioranza di centrodestra, da Azione e Italia viva, che vieta la pubblicazione delle ordinanze di custodia cautelare: “Siamo nella fase in cui scompaiono le notizie che riguardano i fatti processuali dai giornali”, ha aggiunto Ardita.

“Tutto questo – ha proseguito il pm antimafia – mi preoccupa perché i fenomeni mafiosi sono fenomeni che riguardano la società nei quali i ricorsi storici sono la regola. Quindi noi rischiamo di tornare agli anni ’80 sul piano della forza militare di Cosa nostra e dall’altra parte trovarci non impreparati ma di più, depotenziati, scomparsi, senza notizie, senza conoscenza dei fatti della criminalità“.

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