di Leonardo Botta

Nel paese di Guelfi e Ghibellini, Montecchi e Capuleti, Rossi e Neri (ma soprattutto, ahinoi, di followers, fancazzisti e, peggio ancora, di tanti analfabeti funzionali), capita di accapigliarsi per il dilemma che Elio e le storie tese, dalla terra dei cachi, intonerebbero con un irriverente “Presepe sì, presepe no…”.

C’era da aspettarsi che, con l’ascesa al potere del destra-centro italiano, la rivendicazione delle ‘gloriose’ tradizioni italiane avrebbe conosciuto una rapida escalation. A cominciare, manco a dirlo, dai simboli cristiani. È infatti di questi giorni la proposta di legge della senatrice di Fratelli d’Italia Lavinia Mennuni dal titolo “Rispetto e tutela delle tradizioni religiose italiane”. L’articolo 1 della norma impegnerebbe lo Stato a trattare le tradizioni e le festività cristiane come “espressione più autentica e profonda dell’identità del popolo italiano”, mentre l’art. 2 imporrebbe agli istituti scolastici di accettare qualunque iniziativa, proposta “da genitori, studenti o componenti di organi scolastici”, volta a “perpetuare le tradizionali celebrazioni legate al Natale e alla Pasqua cristiana”.

Quindi, ragionando per iperboli, se da Ognissanti al 22 dicembre gruppi ordinatamente scaglionati di “genitori, studenti e componenti di organi scolastici” proponessero una manifestazione natalizia al giorno (un musical sulla Sacra Famiglia, un concorso sul presepe più bello, la preparazione di panettoni, pandori, struffoli e roccocò, il laboratorio di alberi di Natale o l’esposizione di calendari dell’Avvento, e hai voglia di inventarne cento altre!), le scuole dovrebbero di buon grado acconsentire.

Sicché, al ritorno in classe dopo l’Epifania (che, sia lode al Signore, ogni festa porta via), piuttosto che interrogare ‘sti cari ragazzi su equazioni algebriche, declinazioni latine, guerre puniche o proiezioni ortogonali, si potrebbe somministrare loro verifiche sull’esecuzione a cappella di “Tu scendi dalle stelle”, “Bianco Natale” o “Jingle bells”.

Tutto questo nel tempo in cui milioni di italiani un giorno celebrano l’uomo che chiedeva di “porgere l’altra guancia” mentre solidarizzano con un gioielliere che (pur con tutto il turbamento e lo stress del caso) ammazza per strada due ladri in fuga dal suo negozio; il giorno dopo, mentre vomitano strali su migliaia di migranti che affrontano i perigli dell’arido deserto o del gelido mare in cerca di un domani migliore, evocano la santa vicenda di un uomo e una donna incinta (non di lui) che peregrinano, costretti a veder nascere il proprio bambino in una grotta, scaldato solo dall’alito di un bue e un asinello.

E a me, tanto per cambiare, torna in mente l’amara constatazione di Flaiano: “La situazione è grave, ma non è seria”.

Ps. Sono un insegnante, già mi aspetto l’obiezione di qualche ‘scienziato’: “se non credi nelle tradizioni del Natale, allora durante le festività vai a scuola a lavorare!”. Bene, bravo, bis!

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