Il Cile non riesce a dare l’ultimo colpo di spugna sul regime di Augusto Pinochet. Per la seconda volta in poco più di un anno, gli aventi diritto al voto hanno infatti bocciato il referendum sulla riforma costituzionale. Una decisione che ha un peso però diverso rispetto a quella del settembre 2022: in quell’occasione, al giudizio del popolo cileno erano state sottoposte le modifiche in senso progressista dell’esecutivo Boric che aveva presentato una nuova Carta considerata da diversi osservatori come una delle più avanzate al mondo, mentre questa volta la proposta di riforma proveniva dal Consiglio costituzionale a maggioranza di destra.

Il ‘no’ ha vinto questa volta con il 55% delle preferenze, mentre nel 2022 la bocciatura era stata decisa dal 62% della popolazione. Il Cile mantiene dunque in vigore la costituzione elaborata nel corso della dittatura militare e chiude un turbolento periodo della storia cilena recente lungo 1.500 giorni. Come già annunciato da tutte le forze politiche del Paese, infatti, non ci sarà un nuovo processo costituente.

Il comitato per il ‘Sì’ ha riconosciuto immediatamente la sconfitta. Con lo scrutinio che non aveva ancora raggiunto un terzo delle sezioni, il senatore dell’Unione democratica indipendente (Udi), Javier Macaya, in una breve dichiarazione aveva affermato che “i cileni sono stanchi del dibattito sul processo costituzionale. Discorso chiuso. Tutti vogliono superare questa fase e dedicarsi alle necessità della popolazione. Andiamo a dormire tranquilli”. Il comitato per il ‘No’ ha invece atteso i risultati definitivi per esprimersi. In una dichiarazione alla stampa, la presidente del Partito socialista Paulina Vodanovic ha affermato che “il popolo ha espresso con chiarezza la sua posizione. Non ci sarà un nuovo processo costituzionale, a partire da domani lavoreremo per sintonizzare l’agenda del Cile reale all’attività politica, offrendo risposte alle principali esigenze: sicurezza, salute, lavoro e pensioni”.

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