Il Servizio elettorale (Servel) cileno ha confermato che sulla base dello scrutinio dei voti del 88,8% dei seggi, il no (rechazo) per la bozza di nuova Costituzione ha raccolto 6.944.426 suffragi (62,00%), mentre il sì (apruebo) si è fermato a quota 4.256.165 (38,00%). La bozza della Costituzione aveva richiesto un anno di lavoro all’Assemblea costituente formata da 155 membri ed era stata segnalata dagli analisti come “la più avanzata del mondo”. Al voto ha partecipato la grande maggioranza dei 15 milioni di aventi diritto. Se avesse vinto l’opzione apruebo, la nuova Costituzione sarebbe entrata in vigore nel giro di 10-15 giorni. Resta vigente, invece, il testo concepito durante la dittatura di Augusto Pinochet nel 1980, e più volte emendato.

I sondaggi di alcune settimane fa avevano già fatto suonare un campanello d’allarme, prospettando una più che probabile vittoria del fronte del no di centro-destra. Ma la realtà delle cifre ufficiali ha superato ogni possibile previsione. Il risultato è stato celebrato dal Comitato del no come un “gesto di saggezza da parte ei cileni” e come “una sonora lezione per l’ala più radicale di sinistra e comunista” che ha sostenuto la nuova Costituzione.

Poco dopo la chiusura dei seggi, e quando ancora non erano stati diffusi risultati, il presidente Gabriel Boric, disponendo sicuramente di anticipazioni sul risultato avverso, ha inviato una lettera ai leader di tutti i partiti cileni, convocandoli per il pomeriggio di oggi 5 settembre alla Moneda. In essa si spiegava che l’incontro doveva servire a “creare uno spazio di dialogo trasversale” e a definire in tempi brevissimi come portare avanti il processo costituente. Il capo dello Stato aveva ripetutamente dichiarato in passato che il suo programma di riforme sociali ed economiche era “perfettamente compatibile” anche con l’attuale Costituzione. Molti analisti di tutte le tendenze hanno comunque osservato che non può essere trascurata la volontà degli elettori che tre anni fa dissero sì ad una nuova Costituzione, e che quindi sarà molto probabilmente necessario giungere ad un accordo politico per definire le modalità di un nuovo organo costituente.

La Carta pensata dall’assemblea definisce lo Stato cileno come “Stato sociale e democratico di diritto”, “plurinazionale, interculturale, regionale ed ecologico”. È composta da 388 articoli e 58 norme transitorie. Fra le altre cose, prevedeva la fine del Senato (ritenuto fallimentare) e lo stop al sistema economico liberale imposto nel Paese negli anni ’70. Proponeva anche alcune aperture in temi di diritti. Riconosceva la salute come un servizio gratuito, così come l’istruzione, e riconosceva per la prima volta l’esistenza delle minoranze etniche – i mapuche – che rappresentano il 21% della popolazione. Inoltre, era stata indicata come “la Costituzione più femminista del mondo” per via dell’attenzione data ai diritti delle donne.

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