Il governo Meloni e la sua maggioranza sono un serio pericolo, una minaccia per sanità pubblica e benessere dei cittadini. Principalmente per gli ammalati cronici e gli elettrosensibili. Ma poi anche per tutto il resto della popolazione, se definitivamente passasse pure alla Camera la riforma dell’innalzamento dei limiti soglia d’inquinamento elettromagnetico, approvata mercoledì 15 in Senato nel Ddl Concorrenza.

Ce la spacciano come manovra nevralgica per inserirci nell’ineludibile futuro che prima non c’era. Ma in realtà si tratta di un vero e proprio trattamento sanitario obbligatorio mimetizzato nello smantellamento di una delle norme più cautelative a livello internazionale per la protezione dall’irradiazione notte e giorno di una sommatoria multipla e cumulativa di antenne di telefonia mobile. Agenti possibili cancerogeni nell’aria. Il pericolo è sanitario ma pure politico e civile, considerato il 5G come volano d’ingegneria sociale per convertire l’analogico Paese nella Giga Bit society tra Smart City e digitalizzazione dell’esistenza dominate da algoritmi e Intelligenza artificiale.

La transizione ci traghetta nell’ignoto tecnologico, con la singolarità pronta a superare l’umano. Con la scusa del progresso, ci stanno catapultando nel mondo liquido, nell’ibrido Uomo-Macchina dell’Internet delle cose, possibile col 5G. Ma restiamo al rischio sanitario: schizzerebbe la media cautelativa dei 6 V/m ai più alti e pericolosi 15 V/m, nel truffaldino rilevamento delle 24 ore della legalizzazione implicita fino a 60 V/m mascherati, come giustamente denunciano i medici di Isde Italia. “Non è possibile fare ulteriori passi indietro sul Principio di Precauzione: va rifiutata e contrastata con gli strumenti della scienza ogni ipotesi normativa che, per favorire determinati portatori di interesse, vada a mettere a rischio la salute delle persone”.

Adolfo Urso è l’artefice della manovra, noto come ancora oggi – a ben 5 anni dalla vendita delle frequenze alle multinazionali straniere – il 5G sia ancora privo di studi sugli effetti a breve, medio, lungo termine nell’interazione con 2G, 3G, 4G. Gravissima lacuna. Ecco perché siamo al salto nel buio, sconfessato persino il riconoscimento dell’elettrosensibilità nei livelli essenziali di assistenza.

Eppure c’è parte di questo esecutivo e sua maggioranza che, fino all’anno scorso all’opposizione, quando c’era da sbraitare contro Conte e Draghi (non che fossero migliori!), pareva tecnoribelle: “5G, cittadini come cavie”, interrogazione del 2018 di Galeazzo Bignami (Fratelli d’Italia, oggi Vice Ministro), “prima del 5G, la difesa di malati e sanità”, nel 2019 Andrea de Bertoldi (oggi deputato FdI, vicinissimo ad Urso), “5G ingerenza sui Comuni e rischio sanitario”, nel 2021 Domenica Spinelli (oggi senatrice FdI, ex portavoce Rete dei Sindaci Stop 5G).

Niente. Passati nelle stanze dei bottoni, tutto sparito come d’incanto, volatilizzato. Colpa una trattativa governo-Telco, unico movente dell’innalzamento dell’elettrosmog, per una partita sottobanco da 4 miliardi di euro da far risparmiare alla lobby straniera delle telecomunicazioni e da scontare, fino all’ultimo centesimo, sulla nostra pelle, nel mezzo pure della vendita di Tim al fondo speculativo americano KKR.

Tutto questo sarà nel mio spettacolo d’inchiesta: il 22 novembre al teatro Duse di Roma con Fuori Onda sui lati oscuri del 5G.

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