“Prendo casa al Sud. Ma non per buttarla in pasto nel Far West di Airbnb”. Lo scrivevo un anno fa, esattamente il 30 luglio 2022… Adesso lo titolerei: “Prendi i soldi e scappa”: la sostanza non cambierebbe. Presente un’oca che viene ingozzata fino a farle scoppiare il fegato? Non potrei trovare metafora più azzeccata per Airbnb, l’Amazon dell’affitto breve. Fanno soldi a palate e, secondo l’accusa dei giudici milanesi, non pagano le tasse adeguatamente. Questo è il macro/sistema, tra le pieghe ci siamo noi gestori o proprietari della struttura, trattati come i loro zerbini.

E così siamo arrivati ad oggi, al maxi sequestro da 779 milioni. A nulla è servito il loro “scudo” con sede in Irlanda, paradiso fiscale per l’Airbnb Ireland Unlimited Company. Quei “diavoli” sono stati colti con le dita nella marmellata spalmata su qualche centinaia di migliaia di case vacanze in lungo e largo nel Bel Paese.

Non esiste un’entità fisica, al netto di qualche sporadico operatore che ti risponde al telefono dopo tempi siderali di attesa. E lo fanno dalla Romania, dall’Egitto, dall’Albania… A Milano hanno una sede ma solo dei supervisori: ti chiedono di mandare un’email e qualcuno ti risponderà. Per grazia ricevuta. Mai ricevuto il dono di una risposta. In mezzo ci sono state querele ai carabinieri per atti vandalici e furti subiti alla maisonette gestita da mio figlio. Ma la piattaforma di affitti più famosa al mondo si sa blindare bene (si è visto) e tenersi al riparo da qualsiasi fastidio. Hanno sempre ragione loro e hanno ignorato le sue denunce.

A Napoli che figura al quarto posto come numero di annunci (prima di Roma, Milano, Firenze, mentre Venezia segue subito dopo) hanno fiutato subito la formula piatto ricco mi ci ficco, strutture ricettive ricavate da bassi, bugigattoli senza finestre e altezze da sette nani e nessun controllo della piattaforma sull’idoneità abitativa. Anarchia totale. Da noi due tipi, residenti a Dublino, sono entrati in casa a luglio, hanno sparato l’aria condizionata a 16 gradi per 24 ore: salta la corrente, bruciate le schede del motore, forzano un mobile chiuso a chiave, danni per oltre mille euro, dimostrati con la perizia di un tecnico. Il support team riconosce un rimborso di 3 euro, il prezzo di un caffè. Oltre al danno anche la beffa.

E siccome ogni grazia diventa disgrazia (come scriveva il filosofo Giambattista Vico) adesso che il vaso di Pandora si è rotto, è uscito di tutto: AirBnB trattiene all’host, cioè il proprietario di casa, oltre alla commissione, anche spese di pulizie e tasse di soggiorno. Fare man bassa di tutto, questo il loro mantra. E quando mio figlio ha provato a chiedere a AirBnB la ricevuta delle tasse di soggiorno che loro avrebbero dovuto versare è stato bannato dalla piattaforma. Una cosa che è sembrata la punizione per chi ha osato ribellarsi al “sistema”.

Leggo che operavano da “asso pigliatutto” da anni, dal 2017, in “piena consapevolezza degli oneri dichiarativi e contributivi introdotti dalla legge italiana”. I giudici milanesi (mi inchino alla giustizia riparatrice) scrivono che Airbnb sceglieva di non conformarsi alla cedolare secca “con il fine precipuo di non rischiare la perdita di fette di mercato in favore della concorrenza”. Un vero Far West!

Mi sono allora rivolta a una brand ambassador (lo sono in tanti), ha un cognome importante da da Prima Repubblica. Mi chiede di non fare il suo nome. Riesce solo a dirmi tra i denti: “Effettivamente la policy di Airbnb è quella di essere dalla parte dei clienti”. Che sono tanti, in giro per il mondo… quattro screanzati che credono di avere ogni diritto “perché hanno pagato”. Adesso basta fare da padroni a casa nostra. Ai piani alti di Airbnb tremano e temono l’effetto valanga, se dovessero scattare i controlli anche negli altri paesi della Comunità europea. Intanto da un paio di settimane bombardano gli host con messaggi: aggiungere informazioni fiscali per evitare il blocco dei pagamenti. È un po’ come chiudere le stalle dopo che i buoi sono scappati.

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