Il 1° novembre 1998, esattamente 25 anni fa, entrava in vigore il Protocollo 11 alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, che cambiava il volto della Corte di Strasburgo e la rendeva quello strumento potente di tutela dei diritti umani che oggi conosciamo. Quello di una giustizia sovranazionale che protegga i diritti di tutti è stato un grande sogno europeo del secondo dopoguerra, e speriamo che continui a esserlo.

Nel 1959 entrò in funzione a Strasburgo, in seno al Consiglio d’Europa, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Nei decenni successivi si cercò di renderne sempre più effettiva la capacità di impatto. Con il Protocollo 11 si parla addirittura di “nuova Corte”, tanto è fondamentale la rivoluzione che esso opera. Finalmente i cittadini possono accedere alla Corte senza filtri, qualora ritengano violato uno dei diritti protetti dalla Convenzione del 1950. La sola condizione è l’aver prima esperito senza esito i rimedi giurisdizionali nazionali. Dopo il ‘98 i ricorsi seguiti dalla Corte di Strasburgo diventano infatti moltissimi.

Ma non è questo il solo motivo per cui il 1998 fu un anno fondamentale per la giustizia internazionale. Pochi mesi prima, il 17 luglio, era stato firmato a Roma lo Statuto della Corte Penale Internazionale, che prevedeva la possibilità per un tribunale sovranazionale di giudicare i crimini contro l’umanità (genocidio, tortura) e i crimini di guerra.

È stato il crescente sovranismo, in questi venticinque anni, il peggiore nemico della giustizia internazionale. Le grandi potenze – prime tra tutte Usa, Russia e Cina – non hanno mai aderito alla Corte e hanno anzi tentato di sabotarla. Crescente è stata anche l’insofferenza di una parte dei governi europei nei confronti dell’attivismo dei giudici di Strasburgo in materia di diritti umani. Non di rado è accaduto che gli Stati non abbiano rispettato i contenuti delle sentenze di condanna. Quando un ricorso è accolto dalla Corte, oltre alla condanna dello Stato a risarcire il ricorrente, potrà aversi la necessità di modificare una legge, di introdurne una nuova, di cambiare una politica amministrativa per evitare future analoghe violazioni di diritti. Ed è allora che il mantra del mondo sovranista continua a ripetere che “a casa mia faccio quello che voglio”. Lo sentiamo reiterare di fronte a condanne su temi che hanno a che fare con scelte populiste da parte dello Stato. Non è un caso che nelle campagne pro-Brexit si evocava l’uscita dal sistema di controllo giurisdizionale di Strasburgo.

Va sempre ricordato che la storia dei diritti umani e delle libertà civili ha origine proprio in Europa. La straordinarietà della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo va preservata, se non ulteriormente rafforzata. Ogni anno circa 70.000 ricorsi pendono davanti ai giudici europei. Un numero enorme, che vede gli italiani buoni protagonisti. Se gli Stati offrissero maggiori risorse economiche al Consiglio d’Europa, le procedure decisionali potrebbero venire velocizzate.

Nel campo della giustizia penale e dei diritti delle persone private della libertà, si sono avute sentenze di enorme rilievo giurisdizionale e politico che nel nostro Paese hanno messo in moto processi di riforma altrimenti impossibili. Se non avessimo avuto, a partire dal 2015, le sentenze relative alle torture nella scuola Diaz di Genova durante il G8 del 2001, non avremmo avuto una legge che nel 2017 ha finalmente introdotto il reato di tortura nel codice penale italiano, permettendo oggi di perseguire davvero chi si macchia di questo delitto. Se non avessimo avuto la sentenza Torreggiani del 2013, non ci sarebbe stata una presa di coscienza sul sovraffollamento carcerario quale causa di oggettiva violazione della dignità umana delle persone recluse e non avremmo avuto probabilmente l’istituzione del Garante Nazionale delle persone private della libertà.

Il sovranismo produce tragedie. In un periodo drammatico di guerre come quello che stiamo vivendo, ricordiamoci che non bisogna mai subordinare il diritto e i diritti alla pericolosissima ragion di Stato.

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