Giusto due anni faceva il giro del mondo la notizia del contagio dei cervi del Nord America con le relative preoccupazioni per un potenziale pericoloso serbatoio. Oggi uno studio pubblicato sulla rivista Nature Communications e guidato dall’Università Statale dell’Ohio indica che il virus responsabile di Covid-19 ha infettato i cervi dalla coda bianca che vivono nello stato americano dell’Ohio sta evolvendo molto rapidamente, tre volte più velocemente che negli esseri umani. Una conferma che questi animali costituiscano una cosiddetta ‘specie-serbatoio’, in cui Sars Cov 2 prospera e continua a mutare, potendo far emergere nuove varianti pericolose anche per l’uomo. Molti dei cervi testati, infatti, hanno contratto il virus a causa del contatto con gli esseri umani e ci sono già alcune evidenze che mostrano come il contagio possa avvenire anche nel verso opposto, dall’animale all’uomo.

I ricercatori coordinati da Andrew Bowman hanno raccolto, tra novembre 2021 e marzo 2022, più di 1.500 tamponi nasali da cervi selvatici che vivono in tutto lo stato dell’Ohio. Oltre il 10% dei campioni è risultato positivo e le analisi genetiche hanno dimostrato che almeno 30 casi di infezione sono stati causati dall’uomo, un numero elevato che ha sorpreso gli autori dello studio. “Generalmente parliamo della trasmissione di un virus tra specie come di un evento raro. Il campione che abbiamo preso in esame non era enorme, eppure siamo stati in grado di documentare ben 30 spillover”, commenta Bowman. “Sembra quindi che il virus si muova abbastanza facilmente tra le persone e gli animali”. L’analisi dei campioni raccolti ha permesso anche di capire quali varianti sono presenti nei gruppi di cervi contagiati: come si aspettavano i ricercatori, la più rappresentata è la variante Delta, il ceppo predominante nella popolazione degli Stati Uniti all’inizio dell’autunno 2021, ma è stata trovata anche la variante Alfa, la prima a circolare tra gli esseri umani nella primavera dello stesso anno. “L’idea che i cervi conservino ancora ceppi che non circolano più tra gli esseri umani – conclude Bowman – può essere preoccupante”.

Lo studio su Nature

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