La strada è in salita, ma ci saranno tutti. Oggi alle 17 le due delegazioni si troveranno faccia a faccia. Giuseppe Conte, Elly Schlein, Nicola Fratoianni di Sinistra Italiana, Azione con Carlo Calenda e + Europa incontreranno la premier Giorgia Meloni, che sarà affiancata dai vicepremier Antonio Tajani e Matteo Salvini, dalla ministra del Lavoro Maria Elvira Calderone e dai sottosegretari Giovanbattista Fazzolari e Alfredo Mantovano.

Nonostante la promessa che nessuno diserterà, la partenza non è stata delle migliori. Oltre al fatto che Meloni convoca il tavolo a Parlamento già chiuso, ciò che ha fatto infuriare di più l’opposizione è il video di mercoledì scorso, pubblicato dalla presidente del Consiglio (nella rubrica “Gli appunti di Giorgia”), in cui la premier annunciava la misura del salario minimo come “controproducente”. L’“asso nella manica” da giocare, per la controparte, sarà poi una proposta di legge presentata nel gennaio del 2019 proprio da un deputato di Fratelli d’Italia, Walter Rizzetto, oggi presidente della Commissione Lavoro della Camera, intitolato “Istituzione del salario minimo orario nazionale”. Insomma, le cose si sono ribaltate. E l’opposizione è pronta a rinfacciarlo alla premier.

Dall’altra parte, la strategia di Meloni è chiara: non lasciare palla all’opposizione. Il governo incalzerà soprattutto sui tempi: la proposta di salario minimo fatta a Meloni, infatti, entrerebbe in vigore solo nel novembre del 2024. L’idea è quindi quella di mettere sul piatto altre misure, con il plus di renderle operative già all’inizio del prossimo anno. I responsabili del dipartimento del Welfare di Fratelli d’Italia, Walter Rizzetto e Marta Schifone, sono infatti al lavoro su un disegno di legge per estendere la contrattazione collettiva da approvare a settembre (dopo il vertice con opposizione e sindacati).

Oggi sul Corriere il sottosegretario al Lavoro leghista Claudio Durigon illustra i punti su cui Meloni insisterà: “Estendere la contrattazione collettiva applicando, laddove non c’è, il contratto di categoria che può essere considerato di riferimento. Rivedere l’impalcatura degli appalti sui servizi eliminando il massimo ribasso sulla voce del costo del lavoro” e “controbilanciare gli effetti dei cosiddetti contratti pirata”.

Insomma, puntare sulla contrattazione collettiva, e non sul salario minimo. Controproposte che restringono ulteriormente i margini di dialogo. Lo stesso leader pentastellato, intervistato ieri sera al Tg1 aveva fatto sapere che quella del vertice “è una strada in salita perché abbiamo una premier che ha anticipato che il salario minimo è uno slogan e ha detto anche una falsità che dimostra che non ha letto una riga della nostra proposta”. Una posizione dura, netta, che invece non sembrava fare il paio con l’iniziale silenzio di Elly Schlein, divisa fra il dem Arturo Scotto che fa sponda con Conte e il governatore Stefano Bonaccini che invece ha “molto apprezzato che la presidente del Consiglio abbia aperto a questa opportunità”.

Un silenzio interrotto solo questa mattina da un’intervista rilasciata dalla segretaria Pd a La Stampa in cui alza i toni (“A loro non interessa dare risposte, ma far partire la campagna elettorale per le Regionali”) e cerca di smarcarsi dalle accuse di sottostare ai 5 Stelle (“Mi sono spesa in prima persona per arrivare a una convergenza”), promettendo anche di insistere sulle dimissioni di De Angelis e sui mancati ristori post-alluvione per l’Emilia Romagna. A quanto pare ognuno cercherà di marcare le proprie posizioni, rischiando però di arrivare divisi.

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