Nelle motivazioni su Bellini il nome di Cossiga compare 78 volte. I giudici descrivono “la vastità delle relazioni, conoscenze, informazioni, se si vuole, capacità di penetrazione e ricatto che D’Amato possedeva” ma anche “gli interessi spionistici del D’Amato ai massimi livelli, al di là delle sue funzioni formali, addirittura come uomo di fiducia del presidente Cossiga“. Per raccontare il legame tra l’allora capo dello Stato e l’ex agente segreto anglo-americano i giudici della corte d’Assise citano anche un passaggio del libro La leggenda del giornalista spia di Lando Dell’Amico, secondo il quale “Cossiga pendeva dalle labbra” del D’Amato. I magistrati condividono vari passaggi del saggio: “Si deve, pertanto, ragionevolmente ritenere che l’amicizia con Francesco Cossiga (ministro dell’Interno nell’anno 1978 e Presidente del consiglio dei ministri negli anni 1979 e 1980) abbia accentuato quell’aura di potere e di influenza che circondava la figura di Federico Umberto D’Amato, quale esponente di assoluto rilievo del mondo dell’intelligence “. E ancora un altro estratto del saggio riportato dalla corte è questo: “Federico Umberto D’Amato era la persona più adatta ed affidabile, agli occhi di Licio Gelli, per mettere a frutto l’oneroso investimento strategico di 850.000 dollari effettuato dal capo della loggia massonica P2 in vista del progetto ‘Bologna‘, finanziariamente documentato nell’omonimo appunto. Tale progetto prevedeva ab origine, necessariamente, anche l’appoggio di apparati infedeli dei servizi segreti dell’epoca, in seno ai quali l’esponente più influente, qualificato e di maggior potere era, senza dubbio, il piduista Federico Umberto D’Amato, che si avvaleva di relazioni amministrative, politiche, massoniche e di intelligence (anche sul versante atlantico) di altissimo livello e poteva contare sull’appoggio dei “colleghi” piduisti Grassini e Santovito, posti ai vertici, rispettivamente, del servizio segreto civile e militare“. È in questo contesto e dopo queste frequentazioni che il 15 marzo 1991 Cossiga dice di essersi sbagliato a definire ‘fascista‘ la strage di Bologna, sostenendo di essere stato male informato dai Servizi segreti dell’epoca e accreditando quindi la pista palestinese. Sempre in quel periodo Bellini esplicita la sua ammirazione per il Picconatore: “È un fatto – scrivono i giudici – che in questo processo sia emerso come l’imputato Bellini sia stato un convinto sostenitore del senatore Cossiga, tanto da inviare il telegramma di cui ha parlato la moglie di Bellini: ‘Sarai sempre il mio presidente‘. Non sembra che il fatto possa essere archiviato come una mera coincidenza“.

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