A tifare per la pista palestinese non erano solo spie e piduisti. I giudici della Corte d’assise hanno disposto la trasmissione degli atti per valutare la falsa testimonianza di tre tecnici della polizia Scientifica. Erano stati chiamati dalla Procura generale a ripulire una intercettazione ambientale del leader veneto di Ordine Nuovo, Carlo Maria Maggi. Nel 1996 l’ex estremista condannato per la strage di Brescia diceva al figlio che l’attentato di Bologna l’avevano fatto quelli della banda Fioravanti e che all’evento aveva partecipato un “aviere“, che aveva portato la bomba. Chi era l’aviere? Per la procura si trattava di Bellini, conosciuto nell’ambiente dell’estrema destra per la passione per l’aviazione, tanto che era in possesso del brevetto da pilota. Nella loro relazione, però, i tre tecnici della Scientifica avevano affermato che in realtà la parola poteva non essere ‘aviere’, ma bensì ‘corriere’. Il file audio, però, sarebbe stato sottoposto a una ripulitura non necessaria e invasiva. Scrivono i giudici in motivazione: “Occorre ricordare, infatti, che nell’ambito delle diverse varianti che caratterizzarono la cosiddetta pista palestinese (o teutonico-palestinese), si giunse da parte di alcuno ad ipotizzare che la strage fosse stata determinata dall’esplosione involontaria nella sala di aspetto (“lo sbaglio“, appunto) di un ordigno detenuto da un incaricato dei palestinesi diretto altrove e solo in transito a Bologna (“un corriere” appunto). Ma ciò che, a parere della Corte, induce gli interrogativi più inquietanti è il contenuto stesso della frase che i tre tecnici hanno estrapolato, eseguite le operazioni di filtraggio e depurazione: non più ‘il padre di sto’ aviere’, ma ‘lo sbaglio di un corriere'”. Insomma: la relazione sull’intercettazione di Maggi avrebbe rilanciato ancora una volta la pista palestinese. I giudici, però, sono andati ad ascoltare il nastro. E hanno sostenuto che “sia stata proprio l’intensità dell’operazione di filtraggio a comportare una modificazione della parola ‘aviere’ in quella di ‘corriere'”. Un’ipotesi che si basa sul semplice ascolto ‘ad orecchio nudo’, dell’intercettazione: “Emerge con estrema nitidezza – scrivono i giudici – che la frase controversa in realtà non è affatto disturbata dal rumore di fondo arrecato dal telegiornale, che in quel momento è quasi assente e comunque irrilevante. Pertanto, chiunque potrà constatare che le parole pronunciate da Maggi furono le seguenti: ‘Ma in pratica già qua nei nostri ambienti … erano in contatto con il padre di sto’ aviere … e dicono che portava una bomba, ecco’. Si tratta di una costatazione che consente da sé sola di superare ogni dubbio sul contenuto della conversazione“. Ancora una volta, dunque, qualcuno ha tentato di spingere le indagini verso la pista palestinese. Se si sia trattato di un errore in buona fede o meno saranno i giudici a stabilirlo.

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