A distanza di trent’anni dall’omicidio dell’allora 23enne Laura Bigoni, uccisa a coltellate nella notte tra il 31 luglio e il primo agosto del 1993 a Clusone, in provincia di Bergamo, l’indagine sulla sua morte è stata ufficialmente riaperta. Non da oggi, ma dal maggio del 2021. A far tornare gli inquirenti sulle carte inerenti al caso, rimasto senza colpevole, è stata la testimonianza cruciale che una donna ha rilasciato due anni fa ai giornalisti della testata Araberara, che hanno raccontato di aver atteso fino ad ora senza pubblicare nulla per “il tempo necessario alle verifiche” delle autorità giudiziarie.

Laura Bigoni era residente a Milano, ma si recava spesso a Clusone per trascorrere periodi di vacanza nella seconda casa di famiglia. Una mattina d’estate del 1993 fu trovata morta nel letto del suo appartamento dopo una serata trascorsa in discoteca, uccisa da nove coltellate inferte fra la gola e il petto. I primi sospetti degli inquirenti si concentrarono sull’allora fidanzato della vittima, l’elettricista e pompiere Gianmaria Negri Bevilacqua, che con Laura aveva una relazione caratterizzata da costanti tradimenti. L’uomo, dopo una iniziale condanna a 24 anni di reclusione in primo grado, fu assolto in Appello e ottenne la conferma della sentenza di assoluzione anche in Cassazione.

Secondo le indiscrezioni, la testimone all’epoca dei fatti lavorava nella stesso posto della 23enne come addetta alle pulizie. Decise poi di licenziarsi perché più volte un uomo all’interno dell’azienda aveva provato a violentarla. “Quando io fui aggredita, quel tizio aveva un accendino e una bomboletta”, ha raccontato puntualizzando poi di essere venuta a sapere che “l’assassino di Laura aveva tentato di dare fuoco al materasso con una bomboletta”. La donna ha poi riferito che l’uomo era solito utilizzare un taxi di colore giallo per recarsi al lavoro, di proprietà di suo fratello, esattamente lo stesso mezzo che alcuni testimoni dissero di aver visto sotto l’appartamento di Laura la notte del suo omicidio.

“Mi vennero i brividi quando a Clusone fu uccisa la ragazza milanese, lei lavorava negli uffici dove c’era questo tipo”, ha concluso. La procura e la questura di Bergamo stanno vagliando in questi mesi la nuova pista proprio a partire dalle testimonianze rilasciate dalla donna, che potrebbero condurre, a trent’anni di distanza, ad una clamorosa svolta nel caso.

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