di Isabella Fiore

Il ministro dell’Istruzione e del merito, già sperimentato sostenitore del pugno di ferro, oggi interviene a valanga sul nove in condotta allo studente di Rovigo, addirittura chiedendo la riconvocazione del Consiglio di classe per gli studenti violenti, ma promossi. Nelle vesti del giustiziere così si esprime: “Siccome il caso di Rovigo mi ha lasciato perplesso, ho mandato un’ispezione per capire come sia stato possibile che un ragazzo che aveva sparato dei pallini nei confronti dell’insegnante abbia potuto prendere 9 in condotta…”.

Nulla di più errato dell’idea di mandare degli ispettori per verificare se quel 9 sia stato meritato, come se si trattasse dell’esito di una prova di matematica alle olimpiadi delle discipline scientifiche e non di un processo graduale di maturazione del comportamento. È anche vero che una valutazione della crescita educativa esige l’osservazione sistematica da parte dei docenti impastati di pedagogia e non di ispettori inviati per fare le pulci al voto di condotta. La valutazione scolastica riguarda l’apprendimento e il comportamento e, rispetto a questo combinato disposto, quante cose la scuola dovrà farsi perdonare per avere disgiunto l’apprendimento nozionistico dalla maturazione del comportamento partecipativo? Quante volte si è redarguito l’alunno che sbirciava sul compito del compagno invece di sollecitarne la collaborazione e il confronto? Quante volte è stata tacciata di vacuo sociologismo ogni forma di attenzione all’alunno/persona, spesso investita da problematiche estremamente serie e che ne condizionavano lo sviluppo integrale?

Oggi il Ministro dei servizi socialmente utili applicati alla didattica si interroga su come sia stato possibile dare il nove in condotta a chi si è reso protagonista di un comportamento esecrabile. La domanda è lecita, ma la risposta che lui si dà risponde ad un’ansia di repressione autoritaria che non ha nulla a che vedere con il tema della maturazione integrale della personalità dei giovani. Una personalità, nel complesso mondo odierno, fortemente condizionata da instabilità, incertezza e, come afferma Bauman, da fluidità e volatilità. Rispetto a tutto ciò, che sembra pedagogicamente ingovernabile, la risposta che il ministro dovrebbe ricercare, se ne è capace, risiede nella individualizzazione dell’intervento educativo che richiede un bagno corale di pedagogia e di metodologia della classe insegnanti e di chi, a vario titolo, ha la responsabilità nei processi formativi delle giovani generazioni.

È ancora attuale, a 100 anni dalla sua nascita, l’assunto di Don Lorenzo Milani secondo cui “non c’è ingiustizia più grande che fare parti uguali tra disuguali”. Anche lo studente di Rovigo, e non parliamo di un alunno della Scuola di Barbiana, nonostante avesse aggredito la sua insegnante e a prescindere dal nove in condotta contro cui si è accanito il ministro del merito, avrebbe avuto bisogno di una scuola della relazione e non della Scuola dell’Invalsi, della scuola della mitezza e non del merito.

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