Doveva essere usura e invece era un furto. A un certo punto un difensore – leggendo le motivazioni di condanna inflitta agli imputati dalla Corte d’appello di Torino – si è reso conto che a pagina 14 del provvedimento entrava un certo Alì che aveva rubato il cellulare a una signora sul tram. Ed è così che l’avvocato ha impugnato per motivazione inesistente la condanna ricevendo l’accoglimento della Cassazione.

Un caso di “copia e incolla” raccontato oggi dal Corriere della Sera. Gli imputati erano stati condannati dal giudice per l’udienza preliminare di Asti perché accusati di associazione a delinquere finalizzata alla truffa e all’usura. Nell’ipotesi dell’accusa si tratta di un gruppo di persone che avrebbe offerto servizi di consulenza finanziaria e prestiti, senza possedere l’abilitazione professionale, e con provvigioni e interessi che arrivavano “fino al 60 per cento del capitale finanziato”. Da qui l’accusa di usura nei confronti di 20 persone raggiarate tra il settembre 2018 e il settembre 2019.

L’ingresso dell’imputato Alì è durato due pagine, poi le motivazioni proseguivano rispettando reati contestati e imputati. La Suprema corte, dopo il ricorso, ha annullato la sentenza, disponendo “la restituzione degli atti alla corte d’Appello, nella medesima composizione, per la nuova redazione della sentenza“.

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