Si è ucciso in carcere, tramortito dalla notizia di una nuova ordinanza cautelare, quando già intravedeva la possibilità che per lui, dopo la concessione della semilibertà e di un lavoro all’esterno, si profilasse l’affidamento in prova. Bassem Degachi, 39 anni, tunisino, residente da molti anni a Mestre, sposato, si è visto crollare il mondo addosso quando gli è stato notificato il provvedimento. Ha chiamato la moglie al telefono e le ha annunciato che si sarebbe ammazzato perché non ce l’avrebbe fatta a reggere una nuova inchiesta, mentre stava espiando i suoi errori di un tempo con lo spaccio di droga. Per tre volte la donna ha chiamato la casa di pena di Santa Maria Maggiore a Venezia, dando conto del drammatico annuncio e invitando gli agenti a sorvegliare il marito. Ma per tre volte sarebbe stata rassicurata che la situazione era tranquilla. Poi la telefonata tanto temuta: “Ci dispiace comunicarle che suo marito si è tolto la vita”. Il dramma che si è consumato alcuni giorni fa non è solo il suicidio di un uomo disperato, è anche l’effetto di una incredibile vicenda giudiziaria che ha portato all’emissione del provvedimento a cinque anni di distanza dai fatti, mentre le richieste di arresto di una vasta operazione che ha colpito il mercato mestrino degli stupefacenti sono rimaste ferme per due anni, neppure prese in carico dall’ufficio dei giudici delle indagini preliminari per mancanza di magistrati. Un ritardo fatale, perché nel frattempo Bassem si era comportato in modo irreprensibile in carcere e aveva ottenuto il lavoro all’esterno. Quando pensava di vedere l’uscita del tunnel è ripiombato nel buio più profondo.

La Procura di Venezia ha aperto un’inchiesta sul suicidio (per omicidio colposo contro ignoti), alla luce delle telefonate effettuate dalla moglie Silvia Padoan. Vuole ricostruire la tempistica e verificare se sarebbe stato possibile evitare che il detenuto facesse quella fine. L’avvocato Marco Borella, difensore di fiducia del tunisino, spiega: “Era uno dei rarissimi casi di ravvedimento e reinserimento di un detenuto. In passato Degachi aveva fatto i suoi errori, ma stava pagando. Aveva già scontato due anni e mezzo. Da circa un anno era in semilibertà e lavorava in un cantiere nautico, dove erano molto contenti di lui. Ho le lettere di encomio del datore di lavoro e i suoi colleghi mi hanno chiesto cosa possono fare per aiutare la famiglia e manifestare il loro dolore. Tra pochi giorni avrebbe avuto un permesso premio di una settimana e a settembre speravamo di ottenere la messa in prova”. Insomma, fino al mattino in cui gli sono arrivate le 900 pagine dell’ordinanza del gip era tranquillo. Stava uscendo per raggiungere la società remiera a Sant’Alvise, a Venezia, dove lavorava, quando al posto di guardia lo hanno fermato dicendogli che non poteva uscire. “Il mio cruccio è di non avergli potuto parlare perché sono stato informato solo dopo – continua il legale – Gli avrei detto di non preoccuparsi, che avremmo risolto la situazione, perché i fatti in parte si riferivano al periodo per cui c’era stata già la condanna. Al massimo vi sarebbe stato un patteggiamento in continuazione”.

Testimoni di quanto accaduto in carcere sono anche i compagni del detenuto. Hanno riferito di aver sentito Bassem piangere a dirotto. Possibile che nessuno degli agenti di custodia se ne sia accorto e si sia preoccupato, alla luce delle telefonate della moglie? I familiari spiegano: “Abbiamo cercato di rassicurarlo, ma era disperato. Noi, che lo conosciamo, abbiamo capito che la situazione era grave”. L’avvocato Marco Foffano, garante per i detenuti di Venezia, conosceva bene Bassem. “Nel novembre 2022 fui io ad accompagnarlo il primo giorno dal carcere al lavoro in semilibertà. L’avevo incontrato dieci giorni fa: era sorridente, contento, proiettato a una nuova vita. Mi domando perché gli organi della magistratura non si parlino. Il giudice di sorveglianza aveva espresso parere favorevole alla semilibertà alla luce del comportamento del detenuto. Un altro magistrato ha ritenuto mesi dopo che vi fossero le condizioni per tenerlo in carcere per fatti di cinque anni fa, quando la domanda di custodia cautelare è rimasta ferma dal 2020 al 2022. Due risposte completamente diverse riguardanti la stessa persona”. L’avvocato Foffano rivela: “Il giorno stesso del suicidio, il magistrato di sorveglianza è andato in carcere per portare un mazzo di fiori. È un gesto che dice tutto, parla da uomo alla famiglia, da magistrato alla magistratura, da cittadino alla società. Sembra dire: ‘Cosa abbiamo fatto’”. I ritardi giudiziari sono clamorosi. Per due anni la richiesta di 27 misure cautelari non è neppure stata presa in esame per carenza di gip. Tutto fermo, finchè ad ottobre la Procura, dopo aver interpellato i carabinieri, aveva confermato l’esistenza dei motivi di pericolosità. Il gip ha esaminato gli atti e firmato un provvedimento riguardante lo spaccio in via Piave a Mestre. L’effetto nei confronti di Bassem Degachi è stato l’equivalente di una condanna a morte.

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